Il decreto sulle liberalizzazioni del governo Monti, che sta suscitando proteste di diverse categorie di lavoratori, a partire dai proprietari di una licenza di taxi, mi interessa perché tocca in modo serio l'articolo 18 del cosiddetto Statuto dei lavoratori.
L'art. 3 del decreto, infatti, recita:
Dopo comma 1 del'art. 18 della legge 20 maggio del 1970, 11.300, è aggiunto il seguente:
“1 bis. in caso di incorporazione o di fusione di due o più imprese che occupano alle proprie
dipendenze alla data del 31 gennaio 2012 un numero di prestatori d'opera pari o inferiore a
quindici ii numero di prestatori d'opera di cui al comma precedente è elevato a cinquanta”.
Questo significa che se si fondono due imprese con, mettiamo, un dipendente ognuna, che sono fuori dalle garanzie dell'articolo 18, la nuova impresa potrà assumere fino a cinquanta lavoratori, che saranno tutti fuori dalle stesse garanzie.
La domanda è: quante sono in Italia le imprese con più e con meno cinquanta dipendenti? Per L'Unione Europee le imprese con meno di 10 impiegati sono considerate "micro imprese", mentre quelle con un massimo di 50 sono considerate "piccole imprese". C'è, dunque, un salto di categoria. Parlare in Italia di Piccole e Medie imprese, come fanno quotidianamente i tg, è un errore: si dovrebbe parlare di Micro e Piccole imprese.
Con una certa difficoltà su internet è saltata fuori la seguente tabella, risalente al 2007, prima della crisi. Ci da la percentuale dei lavoratori impiegati in micro, piccole, medie e grandi imprese ripartiti per aree geografiche e per tipo di impiego: industria o servizi.
Come si vede, la percentuale più alta di lavoratori è impiegata nella micro impresa di servizi, dove si va dal 26 al 41% nel mezzogiorno. Dati cui corrispondono in percentuale quelli delle micro imprese industriali, con un numero maggiore di addetti sempre nel mezzogiorno.
Più si risale lo stivale, più aumentano in percentuale gli addetti alla grande impresa, che nel Nord supera complessivamente il 22%. Dopo l'approvazione del decreto Monti, che per alcune categorie di lavoratori, inoltre, annulla il contratto nazionale (non per tutte, come voleva Pietro Ichino), potrebbero scomparire da quella lista micro e piccole imprese, o comunque ridursi notevolmente, introducendo così la possibilità di licenziamento senza giusta causa in un numero molto alto di casi.
Quello che mai sarebbe riuscito a Berlusconi, sta riuscendo a Monti tra il silenzio assoluto del PD.
L'art. 3 del decreto, infatti, recita:
Dopo comma 1 del'art. 18 della legge 20 maggio del 1970, 11.300, è aggiunto il seguente:
“1 bis. in caso di incorporazione o di fusione di due o più imprese che occupano alle proprie
dipendenze alla data del 31 gennaio 2012 un numero di prestatori d'opera pari o inferiore a
quindici ii numero di prestatori d'opera di cui al comma precedente è elevato a cinquanta”.
Questo significa che se si fondono due imprese con, mettiamo, un dipendente ognuna, che sono fuori dalle garanzie dell'articolo 18, la nuova impresa potrà assumere fino a cinquanta lavoratori, che saranno tutti fuori dalle stesse garanzie.
La domanda è: quante sono in Italia le imprese con più e con meno cinquanta dipendenti? Per L'Unione Europee le imprese con meno di 10 impiegati sono considerate "micro imprese", mentre quelle con un massimo di 50 sono considerate "piccole imprese". C'è, dunque, un salto di categoria. Parlare in Italia di Piccole e Medie imprese, come fanno quotidianamente i tg, è un errore: si dovrebbe parlare di Micro e Piccole imprese.
Con una certa difficoltà su internet è saltata fuori la seguente tabella, risalente al 2007, prima della crisi. Ci da la percentuale dei lavoratori impiegati in micro, piccole, medie e grandi imprese ripartiti per aree geografiche e per tipo di impiego: industria o servizi.
Come si vede, la percentuale più alta di lavoratori è impiegata nella micro impresa di servizi, dove si va dal 26 al 41% nel mezzogiorno. Dati cui corrispondono in percentuale quelli delle micro imprese industriali, con un numero maggiore di addetti sempre nel mezzogiorno.
Più si risale lo stivale, più aumentano in percentuale gli addetti alla grande impresa, che nel Nord supera complessivamente il 22%. Dopo l'approvazione del decreto Monti, che per alcune categorie di lavoratori, inoltre, annulla il contratto nazionale (non per tutte, come voleva Pietro Ichino), potrebbero scomparire da quella lista micro e piccole imprese, o comunque ridursi notevolmente, introducendo così la possibilità di licenziamento senza giusta causa in un numero molto alto di casi.
Quello che mai sarebbe riuscito a Berlusconi, sta riuscendo a Monti tra il silenzio assoluto del PD.
Rpartizioni | Industria - | Industria - | Industria - | Industria - | Servizi - | Servizi - | Servizi - | Servizi - | |
geografiche | micro-impresa | piccola impresa | media impresa | grande impresa | micro-impresa | piccola impresa | media impresa | grande impresa | |
Centro | 15,1 | 11,5 | 5,0 | 6,4 | 30,7 | 9,2 | 5,0 | 17,2 | |
Mezzogiorno | 19,6 | 12,3 | 4,7 | 3,0 | 41,2 | 10,1 | 4,6 | 4,5 | |
Italia | 15,6 | 12,9 | 7,3 | 7,5 | 30,9 | 9,2 | 5,2 | 11,4 | |
Centro-Nord | 14,6 | 13,0 | 7,9 | 8,7 | 28,3 | 9,0 | 5,3 | 13,2 | |
Nord-ovest | 13,7 | 12,4 | 8,5 | 10,4 | 26,3 | 8,4 | 5,7 | 14,5 | |
Nord-est | 15,3 | 15,2 | 9,8 | 8,3 | 28,9 | 9,7 | 5,1 | 7,8 |
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