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Da quando, il
18 ottobre 1991, il parlamento dell’allora Federazione Russa Sovietica emanò la
Legge sulla Riabilitazione, i parenti delle vittime delle repressioni degli
anni del comunismo hanno il diritto di consultare gli archivi riservati del
ministero degli Interni per la documentazione che riguarda direttamente le loro
famiglie. Si tratta degli atti contenenti le misure repressive, le
autobiografie delle persone arrestate, fotografie e materiale filmato.
Con
la dissoluzione dell’Unione, in Russia e in altre ex Repubbliche Sovietiche sia
lo Stato, sia organizzazioni non governative, hanno pubblicato una grande
quantità di Knigi pamjati, i Libri
della memoria. Si tratta di testi
riguardanti una specifica regione e, a volte, differenti categorie di persone represse (vittime del Grande
terrore, popolazioni deportate per motivi etnici, kulaki). Soltanto per la
regione di Arkangel’sk, a Nord-Ovest di San Pietroburgo, ne sono già stati
pubblicati molti, di cui sette sui cittadini sovietici di etnia polacca.
Suprun |
Il
centro di documentazione più importante per lo studio delle repressioni nella
regione di Arkangel’sk è il locale archivio della Direzione del ministero degli
Interni (UVD), diretto fino al 2007 dal colonnello Aleksandr Vasil’evič
Dudarev. Quell’anno Michail Nikolaevič Suprun, direttore del Dipartimento di Storia
della Russia presso l’Università Statale
“Pomorskij”, si rivolse all’Archivio con la proposta di redigere un Libro
della memoria dei cittadini sovietici
d’origine tedesca (i cosiddetti etničeskie nemcy), deportati tra il 1945 e il 1956. La ricerca venne
finanziata dalla Croce Rossa tedesca, che aveva firmato un accordo di
collaborazione con l’Università. Dudarev offrì piena collaborazione e una
dottoranda, Nadežda Šalygina, cominciò a vagliare il materiale; circa 40.000
documenti vennero trasmessi alla controparte tedesca.
Verso la fine
dell’estate 2009 la prima parte del libro era terminata; la Procura della
regione di Archangel’sk, però, iscrisse Dudarev e Suprun nel registro degli
indagati: il primo fu accusato di abuso d’ufficio (articolo 286 del Codice
penale russo). Il secondo, di aver violato l’articolo 137, ossia diffuso
“segreti di famiglia”, senza il consenso delle persone interessate.
La Procura agì
in base alla denuncia di cinque famiglie di cittadini sovietici di origine
tedesca, a suo tempo repressi e poi riabilitati, sostenuti dai servizi russi
(FSB), che sequestrarono l’archivio di Dudarev. Il fatto ebbe grande eco in
Russia, per le sue chiare implicazioni: fu interpretato, infatti, come un
preciso attacco alla libertà di ricerca e un segnale per quanti, sia nelle
Università, sia nelle Organizzazioni non Governative, studiavano le repressioni
staliniane.
La
maggiore Ong russa che svolge ricerca sul periodo più cruento del regime
comunista sovietico, “Memorial”, si occupò immediatamente della questione. Fu,
in particolare, la sede di San Pietroburgo a sostenere che se il prof. Dudarev
aveva commesso un reato penale, “Memorial”, impegnato da due decenni in
un’attività simile, reiterava lo stesso sistematicamente. Inoltre, in un
documento diffuso in difesa dei due indagati, si faceva notare come l’articolo
18 della Legge sulla Riabilitazione sostenesse proprio che le liste delle
persone riabilitate, con i dati biografici e l’accusa per la quale erano state
arrestate, dovevano essere pubblicate periodicamente dagli organi
d’informazione.
Mentre
il maggiore giornale d’opposizione, la “Novaja Gazeta”, foglio per il quale
scriveva Anna Politkovskaja, intervenne a sostegno di questa tesi, giornali
locali filo-governativi elogiarono l’azione della Procura, ponendo al centro
della propria riflessione il danno eventuale che sarebbe potuto venire alla
Russia dalla diffusione, all’estero, di dati sulle repressioni.
La
mobilitazione interna e internazionale mise pressione agli inquirenti di
Archangel’sk e l’intero caso fu trasferito per competenza al Tribunale della
Circoscrizione del Nord-Ovest, con sede a San Pietroburgo. La speranza che il
caso fosse rapidamente chiuso venne presto delusa; le indagini proseguirono e
la loro conclusione subì diversi rinvii, fino a quando il Tribunale di
Pietroburgo non respinse l’istanza dei due indagati, con la quale si chiedeva
di riconoscere illegali le indagini nei loro confronti. Dudarev e Suprun
vennero rinviati a giudizio e nel luglio 2011 il caso tornò ad Archangel’sk.
In autunno si è svolto il processo, a porte chiuse,
che si è concluso l’11 dicembre con la prescrizione del reato contestato a
Suprun e la condanna di Dudarev a un anno di carcere con la condizionale.
Entrambi gli imputati ricorreranno in appello.
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