martedì 3 dicembre 2013

Untold Story: Italian Regime Spied on Residents of Dodecanese

Bureaucratic certificates, such as permits and authorizations, as well as confidential reports, records of personal habits, political views and much more: the Fascist regime held 90,000 files on the inhabitants of the Italian Dodecanese, Greece a group of Aegean islands governed by Italy from 1912 to 1947, where at the time there were a total of roughly 130,000 inhabitants.
Now, 66 years after the end of Italian rule, the local Greek state archive has acquired the archive of the Royal Carabinieri Group – Special Central Office, hosted for all these years within the Rhodes police station. The documents will be available for consultation by researchers once the considerable effort of cataloging is complete.
Italy, which invaded the Dodecanese in 1912, taking the island group from the Ottoman Empire, administered for 35 years what was called the “Italian Possessions of the Aegean.” The Italians left the islands in 1947, with the signing of the Paris Peace Treaties, which formally ended the Second World War. The Dodecanese were ceded to Greece with Turkey’s consent (until 1912 they had been part of the Ottoman Empire) under the condition that they were to be kept demilitarized.
Athens therefore came into possession of all the documents produced by the former rulers, available for consultation at the General State Archives. But up until now, only about 20,000 files relating to all aspects of the experience of this government (to some scholars, not to be confused with a colony) were known about-from public works to trade, to financial aspects of the relationships with the various religious communities.
The new archive, however, contains about 90,000 personal files that include information of a private nature on Italians, Greeks, Turks, Jews and foreigners who lived in Rhodes and the other islands. Alongside land reclamation, agricultural development and relevant urban works and building, the Italians had devoted themselves to putting most of the population under strict supervision through an incessant daily practice of data collection.
Eirini Toliou, director of the archive, emphasizes that “it was Mussolini himself who wanted these files, making them one-of-a-kind.” Under Toliou’s supervision, a team of researchers and archivists are preparing to inventory the material to make it available to experts. “Even though the archive index is intact, making our job easier, it’s not possible to indicate precise times,” said Toliou. “Unfortunately, some files were lost over the years due to external removal operations, probably to hide stories regarding collaboration with fascism.”
Marco Clementi, researcher at the University of Calabria and member of the team at the Dodecanese state archive, confirms that the story of the possession will now have to be seen in a new light: “Hiding behind a discreet administration was the dark work of a shrewd dictatorship, bound to keep an entire population under control due to an obvious inability to give and receive trust. “Speaking about the files, Clementi explains that “almost all of them regard direct descendants of people who live in Rhodes today. It’s like a sort of family album.” In fact, rules regarding consultation of the files will have to take this fact into account, keeping certain data, such as health status or sexual preference, from public view, should it appear in the files.
Since some of the documents have partly to do with Jewish citizens — the communities of Rhodes and Kos were eradicated almost entirely during the Holocaust — the United States Holocaust Memorial Museum in Washington, D.C. has expressed an interest in the political archive. A delegation will arrive in Rhodes at the start of 2014 to decide on timing and intervention methods in order to digitize at least part of the archive. Italy, at the moment, hasn’t shown any sign of interest in the documentation.
(source: ANSA)

ANSA MED NEL DODECANESO

(di Patrizio Nissirio) (ANSAmed) - Rodi (Grecia), 3 dic - Atti burocratici, come permessi ed autorizzazioni, ma anche segnalazioni riservate, annotazioni su abitudini personali, idee politiche e molto altro: il regime fascista tenne ben 90.000 fascicoli sugli abitanti del Dodecaneso italiano, una serie di isole egee governate dall'Italia dal 1912 al 1947, dove all'epoca vivevano in tutto circa 130.000 abitanti.

E in questi giorni, 66 anni dopo la fine del dominio italiano, il locale archivio di Stato ellenico acquisisce l'archivio del Gruppo Carabinieri Reali - Ufficio Centrale Speciale, ospitato per tutti questi anni nei locali della centrale di polizia di Rodi. Documenti che, una volta completato il notevole sforzo di catalogazione, saranno consultabili dagli studiosi.

L'Italia, che invase il Dodecaneso nel 1912 strappandolo alla Turchia, amministrò per 35 anni quello che fu chiamato "Possedimento italiano dell'Egeo". Gli italiani lasciarono le isole solo nel 1947, con la firma della pace di Parigi che concluse formalmente la Seconda guerra mondiale. Il Dodecaneso venne ceduto alla Grecia con il consenso della Turchia (fino al 1912 aveva fatto parte dell'Impero Ottomano) a patto che fosse mantenuto smilitarizzato. Atene entrò così in possesso anche di tutta la documentazione prodotta dagli ex dominatori, consultabile presso l'archivio di Stato. Ma fino ad oggi erano noti solo circa 20.000 fascicoli riguardanti tutti gli aspetti di quell'esperienza di governo - per alcuni studiosi da non confondere con una colonia -, dai lavori pubblici al commercio, dagli aspetti finanziari ai rapporti con le varie comunità religiose. Il nuovo archivio, invece, contiene circa 90.000 fascicoli personali che includono informazioni di carattere privato su italiani, greci, turchi, ebrei e stranieri che vivevano a Rodi e sulle altre isole. Accanto alle bonifiche, allo sviluppo agricolo e a rilevanti opere urbanistiche e edilizie, dunque, gli italiani si dedicarono a mettere stretta sorveglianza gran parte della popolazione in un incessante lavoro quotidiano di raccolta dati. Eirini Toliou, la direttrice dell'archivio, sottolinea come "sia stato Mussolini stesso a volere questi dossier, creando un caso unico". Sotto la sua supervisione una squadra di ricercatori e archivisti si prepara a inventariare il materiale perché sia messo a disposizione degli studiosi. "Non è possibile indicare tempi precisi - prosegue la direttrice - anche se il fatto che lo schedario è intatto ci faciliterà il compito. Purtroppo, nel corso degli anni alcuni fascicoli sono andati perduti a causa di interventi esterni di rimozione.

Probabilmente per nascondere alcune storie di collaborazionismo con il fascismo". Marco Clementi, ricercatore all'Università della Calabria e collaboratore dell'archivio di Stato del Dodecaneso, afferma che la storia del possedimento dovrà essere riletta sotto una nuova luce: "Dietro quella che è stata una discreta amministrazione si nascondeva l'oscuro lavoro di una dittatura occhiuta, costretta a tenere sotto controllo l'intera popolazione per l'incapacità evidente di dare e ottenere fiducia". Entrando nel merito dei fascicoli Clementi spiega che "quasi tutti riguardano antenati diretti di persone che oggi abitano a Rodi. Si tratta di una specie di album di famiglia". In effetti, i termini per la consultazione dovranno tenere conto di questa specificità, rendendo inaccessibili al pubblico dati come stato di salute o le tendenze sessuali, nel caso fossero presenti nei dossier. Dal momento che i documenti riguardano in parte cittadini di religione ebraica - le comunità di Rodi e Kos furono quasi interamente sterminate durante l'Olocausto - il museo della Shoah di Washington ha manifestato un concreto interesse per l'archivio politico. Una delegazione giungerà a Rodi all'inizio del 2014 per concordare tempi e modi di intervento al fine di digitalizzarlo almeno parzialmente. Dall'Italia, al momento, non è giunto alcun segnale di interesse per questa documentazione.(ANSAmed).

lunedì 25 novembre 2013

GENOVA PER NOI





Il giornale al quale era destinata tarda. Intanto, per pochi intimi.


Sono trascorsi più di due anni da quando il presidente di una commissione concorsuale per un posto all’Università di Catania mi chiese come mai fossi così convinto che le Brigate Rosse non erano state eterodirette, al punto da dedicare alla loro storia una monografia di quasi 400 pagine. Al di là della risposta e dell’esito del concorso, che il lettore può facilmente immaginare, l’episodio è indicativo del fatto che a molti, in questo paese, quella vicenda proprio non è andata giù. Accademia, politica, giornalismo – nei posti in cui si riflette sulle cose italiane trovi sempre qualcuno che ti si para davanti agitando il nome di un servizio segreto. Sta difendendo il suo passato, che peraltro nessuno mette in discussione parlando di Br. Sta indicando il responsabile della propria sconfitta politica (o della sua parte), avvenuta grosso modo all’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso. L’Italia è un paese strano. Ha metabolizzato guerre di aggressione, l’uso dei gas in Eritrea, il tintinnio di sciabole e le bombe di natale, ma non riesce proprio ad ammettere una cosa semplice e all’occorrenza poco sconvolgente. Ossia che in questo paese per una quindicina di anni una generazione si è armata e ha certato di sovvertire il sistema. E che tra le centinaia  di gruppi che nascono e muoiono nel giro di mesi o qualche anno, quello delle Brigate Rosse è stato il più longevo e il più attivo. Certo, viene da pensare che avrebbero metabolizzato anche le Br se non avessero ucciso Moro e la sua scorta. Viene da credere che quella vicenda – l’aver osato contro un “intoccabile” – sia la spina rimasta per traverso. Tanto che oggi si sente parlare addirittura di due nuove “Commissioni Moro”, una alla Camera e una al Senato, commissioni che si vorrebbe mettere in piedi durante la legislatura in corso. Ma come avrò fatto a convincermi che le Br non siano mai state eterodirette? Forse perché ho in mente le biografie di quelli che stavano in via Fani? È un modo per partire, questo delle biografie. Poi, magari, non ci si trova d’accordo, ma è un punto. La pensa così anche Andrea Casazza, un giornalista del Secolo XIX che in questi giorni esce in libreria con il volume “Gli imprendibili. Storia della colonna simbolo delle Brigate rosse”, edito da DeriveApprodi [496 pp.]. È la storia della colonna genovese delle Br, la colonna più complessa e anomala rispetto al resto dell’organizzazione. Una storia che è parte integrante del tessuto sociale cittadino, che si intreccia con il vasto mondo extraparlamentare dell’epoca e che Casazza cerca di ricostruire anche attraverso le biografie dei militanti. Il libro, per forza di cose, è un testo complesso, ma si legge fortunatamente con facilità, a parte qualche ripetizione. Ed è un testo che nella sua struttura già contiene una risposta – indiretta – a chi dubita dell’originalità del fenomeno della lotta armata. Il volume, che va avanti in un bel modo diacronico, si apre e si chiude con una vicenda cominciata il 17 maggio del 1979, quando vengono effettuati 14 ordini di cattura, 9 fermi giudiziari e una quindicina di fermi per accertamenti. Finiscono in carcere militanti dell’autonomia genovese come Giorgio Moroni, e figure non certo di primo piano delle Br, come Enrico Fenzi. È trascorso poco più di un anno dall’assassinio di Aldo Moro: secondo alcuni magistrati di Genova tutta la sinistra extraparlamentare costituisce una banda armata che di volta in volta assume un nome diverso. Un teorema, simile, ma meno famoso, a quello cosiddetto “Calogero” [che condusse alla ben più conosciuta retata del 7 aprile ‘79], che grazie a Casazza siamo ora obbligati a mettere insieme. Erano anni che si cercavano le Br di Genova e finalmente, dopo Padova, ci si fa coraggio e le si trova un po’ così, andando a naso. In prima istanza vengono tutti prosciolti (l’ingiustizia che assolve, avrebbe commentato il generale Dalla Chiesa), ma in appello e Cassazione gli autonomi sono condannati come brigatisti (l’ingiustizia che condanna, ricorda l’autore). Ci sarebbero voluti  decenni perché Moroni e altri che mai avevano fatto parte dell’organizzazione armata venissero infine riconosciuti innocenti e ricevessero un indennizzo dallo Stato italiano per la galera fatta ingiustamente. Perché conoscere e frequentare un brigatista, non è essere uno di loro. Ed è in questo mondo disomogeneo, dove tutti conoscono tutti, che le Br di Genova agiscono per anni senza che le forze dell’ordine riescano a trovare un punto di partenza. Imprendibili e sconosciuti. Questi sono i brigatisti di Genova. Al punto che, dopo la strage di via Fracchia del 28 marzo 1980, quando i carabinieri di Dalla Chiesa uccidono 4 brigatisti senza che questi reagiscano al fuoco (fu trovato un solo bossolo partito da una loro pistola), sono le stesse Br a rendere nota l’identità di uno di loro: Riccardo Dura. Imprendibili al punto che uno dei magistrati impegnati nella lotta contro il terrorismo nella città ligure, nel corso degli anni ha ripetutamente scritto e detto che la colonna genovese nasce solo nel 1980. L’anno, invece, in cui praticamente si disgrega. Genova, la città in cui compie la sua parabola “l’organizzazione” XXII Ottobre, il primo tentativo di organizzare militarmente il proletariato, dove le Br nel 1974 sequestrano il pm Mario Sossi, l’accusatore di Mario Rossi e compagni. La città dove una compartimentazione strutturata è possibile, ma non si può non partecipare all’occupazione delle case, alla distribuzione gratuita di medicinali e dove la fabbrica non può non essere il centro gravitazionale dell’azione politico-militare dei brigatisti. Una città in cui le contraddizioni sociali e politiche sono più forti che altrove: dove un professore universitario come Gianfranco Faina entra ed esce dalla colonna perché è troppo anarchico per quel mondo e un suo stimato collega, il petrarchista Fenzi, distribuisce volantini. Dove un operaio sindacalista del Pci, Guido Rossa, è ucciso nel gennaio 1979 per aver denunciato un altro militante delle Br che quegli stessi volantini li distribuiva nella sua fabbrica, l’Italsider. Una città nella quale padre e figlio militano in tempi e modi diversi nelle Br e dove nel 1976 le stesse portano a termine il primo omicidio programmato della loro storia: quello del giudice Francesco Coco. E dove, infine, chi viene arrestato può tranquillamente non dichiararsi prigioniero politico e difendersi (tanto da essere alla fine assolto), pur continuando in carcere la propria militanza brigatista. Casazza si muove bene dentro la matassa, solo scivolando, quasi per inerzia in alcuni – pochissimi e nel complesso ininfluenti – luoghi comuni della dietrologia. E ci ricorda, perché ce lo siamo davvero dimenticati, che dal 1976 al 1981 l’occupazione a Genova si riduce del 40% e sempre dal 1976 le giornate lavorative al porto ligure crollano in dieci anni del 54%. Molto, del perché di quella lotta armata, si trova in queste cifre.

SCIROCCO


sabato 23 novembre 2013

ANASTASIA

Anastasia è morta ieri. Una maestra di 27 anni che lavorava a Rodi e in provincia per poche centinaia di euro al mese. E' morta ieri sul lavoro. Tornava a casa dopo le ore pomeridiane. Passando con la macchina di un collega sopra un ponte sono stati portati via dalle acque. Lui lo stanno ancora cercando. In quel momento mi trovavo bloccato sotto al porticato dell'archivio di Stato assieme alla nostra segretaria, da un mese distaccata da noi ma maestra anche lei e fino a pochi giorni fa collega di Anastasia. La pioggia era imponente. Abbiamo passato due ore così. Qualche foto, una lunga chiacchera. Era buio. Non come adesso, che piove forte ma il cielo è alto. Era nero e basso. Alle 16,30 sono uscito dal porticato. Le scarpe erano buone, in fondo, ed ero coperto. La città medioevale deserta. Solo un lunghissimo fiumiciattolo di acque che scendeva ma veniva assorbito abbastanza dal sistema di fogne. L'unico lago tra i bastioni. Lì non ho potuto non bagnarmi. Ma il panico vero era fuori le mura. In pochi metri due auto bloccate. Non si vedeva niente ed era da matti guidare con quel tempo. In città, però, ancora hai punti di riferimento. Fuori, su quella strada dove è morta Anastasia e su quel ponte che è da vedere, perché non è un ponte ma una similitudine, credo non si vedesse niente. Ieri pomeriggio Anastasia lavorava in località Paradisi. Tornava verso Kramasti, più vicina a Rodi, dove aveva l'altra scuola e viveva. Erano in tre in macchina. Un collega, forte più degli altri, è uscito dal mezzo mentre le acque se lo portavano via. Anastasia l'hanno trovata poco dopo.
Evangelia è disperata. Il 6 novembre, mi scrive, ha sognato il funerale di Anastasia. E non si da pace. Lunedì cadranno 45 mm di pioggia. Oggi ne erano previsti solo 2, ma siamo già ben oltre.

Alcune foto scattate tra ieri e oggi. Ma non rendono l'idea. Così come non è mai la distruzione che prevale. Accanto alle frane, due metri dietro l'angolo, il locale aperto con dentro avventori a bere il caffè. E' la guerra. Anastasia, profuga sociale, è morta in guerra.