Ricevo e volentieri pubblico questa bella finestra letteraria di Anna Zanier
Dentro di me il primo maggio prima che essere una festa politica è una festa affettiva. Il ricordo che ho fin da bambina è di mio padre che indossa un completo “elegante”. A me adolescente quel vestito già mostrava tutti i suoi anni (ma penso che se ci entrasse ancora, lo porterebbe anche oggi). Con ripetute, leggere scrollate di spalle il corpo tradisce l'imbarazzo di stare in vestiti che non gli sono quotidiani, puliti, da festa, che sanno buio d'armadio e naftalina. Sulla camicia bianca spicca la cravatta rossa. La cravatta e gli occhi sono i ricordi più forti. Occhi accesi per il giorno di festa e di riposo, occhi che per un giorno sfoggiano l'orgoglio di essere quello che si è e di avere coscienza di classe: muratori, proletari. Quante volte ho sentito la frase: “Oggi è la mia festa, sai! E' la festa di chi lavora.”, e io che lo guardavo con gli occhi di bimba che non capiva bene, ma percepiva qualcosa di serio. Senza retorica, senza mai nominarle, mi ha fatto sentire la giustezza delle idee, della dignità del lavoro, il rigore del senso del dovere e dell'onestà morale e intellettuale. Probabilmente neanche gli è mai passato per la testa tutto questo. Ma mi sento fortunata, e anche se è stato un padre a volte distante, con la maturità da adulta lo guardo in modo nuovo. Forse proprio perché non c'era quasi mai ne parlo tanto.
Oggi, come ogni giorno è salito a trovare suo nipote – non riesce proprio a stargli lontano, e questo mi rende felice. Portava il vino in occasione della giornata di festa. Lo guardo: niente cravatta rossa. Gli dico: “E la cravatta?” - già ieri sorridendo ci avevamo scerzato su. “Eh, diobòn non l'ho trovata... dev'essere rimasta in soffitta...”
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