giovedì 14 marzo 2013

IL GABBIANO




DA CECHOV A BACH, il gabbiano è stato un simbolo per generazioni di amanti della buona letteratura.
Da qualche giorno qualcuno pensa si sia trattato dello spirito santo, come ha dichiarato questa mattina a Radio Radio Marco Guidi.


ENZO SCANDURRA, senza poter prevedere il futuro, il 6 marzo aveva scritto questo bel pezzo sul ritorno dei gabbiani a Roma


Non so quand'è che a Roma, improvvisamente, sono arrivati i gabbiani. Nessuno se lo ricorda più nella città smemorata. Un turista di passaggio per la prima volta in questa città potrebbe, al ritorno nel suo paese, raccontare che a Roma gli uccelli più comuni e frequenti sono proprio loro: i gabbiani. In compenso questi grandi uccelli marini che ormai marcano i territori aerei che sovrastano le discariche, hanno sostituito una ben più nota specie di volatili che annunciavano l'arrivo della primavera romana: le rondini.
Rondini e storni hanno per anni sorvolato incontrastati i cieli romani; le prime sfrecciando ad alta velocità sui cieli della capitale e appollaiandosi nei sottotetti dei palazzi da dove spiccare nuovamente il loro temerario e gioioso volo; i secondi tracciando nel cielo fantastici e geometrici arabeschi alla luce del tramonto, lasciando senza fiato non solo i turisti, ma anche i pigri romani che pure da sempre praticano poco il sentimento dello stupore (anvedi 'oh). Le rondini sono ormai uno spettacolo raro. Come le lucciole di Pierpaolo Pasolini morte con l'avvento della modernità, esse sono diventate una specie in via di estinzione. Non perché minacciate da altre e più aggressive specie di uccelli, piuttosto per i cambiamenti dovuti all'intensificazione dell'attività agricola che ha fatto scomparire siepi, fossi, prati e canneti, luoghi a loro cari dove vivono insetti e altri piccoli animali di cui le rondini si cibavano. Colpa anche dei cambiamenti climatici che hanno modificato le loro traversate, fatto perdere loro l'antico orientamento, e perfino della ristrutturazione di casali agricoli nei cui vecchi tetti le rondini facevano nidi. 
Uscito dal portone di casa molto presto una mattina, vidi uno spettacolo impressionante: in mezzo alla strada (una strada poco frequentata da auto) c'era un gabbiano che dritto sulle sue gambe mi guardava fisso. Ai suoi piedi giaceva un piccione morto. Mi sono allora ricordato di una ricerca fatta sul perché malgrado i piccioni siano così numerosi, mai se ne vedono esemplari morti in città. I risultati di quella ricerca sostenevano che i piccioni , quando giunge la loro ora, si sottraggono alla vista cercando luoghi nascosti per non essere attaccati dai predatori. Quel piccione, dunque, steso morto nel bel mezzo della strada, doveva essere stato assalito dal gabbiano che sovrastava sopra di lui con piglio spavaldo, perfino sprezzante della presenza degli umani. Ricordava, quella scena, il celebre film di Hitchcock quando uomini, donne e bambini diventano oggetto di aggressione e vittime innocenti degli uccelli urlanti impazziti. Perché ora i gabbiani non si limitano più a sorvolare i cieli della capitale; sostano nel prato nel bel mezzo di Piazza Venezia, si ergono a sentinelle nei punti più alti dei monumentali ruderi romani, si accampano sull'altare della Patria come in attesa di una loro rivincita, incattiviti dai cambiamenti climatici provocati dalla specie umana. 
A me è sembrato un triste presagio: come se questa disgraziata città non fosse solo oggetto di scempio da parte di una amministrazione cialtrona, arrogante e incapace, come se non bastassero le sciagurate avventure urbanistiche che succhiano sangue dal suo corpo già ferito, come se non bastassero i regolari allagamenti di strade e reti fognanti ogni volta che piove, il livello assordante dei rumori del traffico impazzito a tutte le ore, lo sfrecciare pericoloso delle macchine blu sulle corsie riservate ai tram e ai taxi, le deroghe edilizie, i condoni, le compensazioni, le perequazioni, lo sfratto agli immigrati, il riconoscimento di cittadinanza negato ai gay, ai barboni, ai diversi di tutti i generi. Ora alle truppe di occupazione dei professionisti della politica che questa città nemmeno conoscono, vengono in soccorso quelli che un tempo erano nobili pennuti che, bianchi d'innocenza, sorvolavano i mari, come nella poesia di Vincenzo Cardarelli: «Non so dove i gabbiani abbiano il nido/ ove trovino pace./ Io son come loro/ in perpetuo volo./ La vita la sfioro/ com'essi l'acqua ad acciuffare il cibo/». 
Anche i nobili gabbiani si sono imbarbariti al contatto con questa città corrotta da una classe dirigente che non si merita; anziché sfiorare l'acqua ora i gabbiani sorvolano discariche in attesa che tutta la città vada in putrefazione.

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