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martedì 23 aprile 2013

BENDERY

"Educazione Siberiana" si basa sulla supposizione che nel 1938 per ordine di Stalin i banditi siberiani, che Linin chiama "ukri", siano stati deportati nella citta' bessarabense di Bendery (in italiano si chiama Tighina).
Sto scrivendo da uno dei centri di ricerca sul periodo staliniano piu' importanti al mondo. Qui, tra gli studiosi degli anni Trenta, nessuno conosce questa vicenda. Inoltre, abbiamo stabilito una volta per tutte che la parola "urka" significa semplicemente "criminale". Non e' una nazionalita', come sembrerebbe a volte lasciar credere il libro.
Inoltre, come si legge su Wikipedia in russo e inglese (ma non in italiano), nel 1938 la citta' faceva parte della Romania (all'epoca chiamata Romania Mare, ossia Grande Romania). Fu solo nel 1940 che i sovietici invasero la Bessariabia. Ci siamo messi a discutere per cercare una spiegazione. L'unica che e' uscita riguarda una possibile deportazione di Rom. Su internet pero' questa deportazione, o meglio, espulsione, non e' menzionata. Ne' la si trova nei libri e cataloghi in russo delle deportazioni sotto Stalin. Dunque?
La ricerca continua.


Da Wikipedia. Voce "Bendery". In grassetto la parte piu' interessante.


The town was first mentioned as an important customs post in a commerce grant issued by the Moldavian voivode Alexander the Good to the merchants of Lviv on October 8, 1408. The name "Tighina" is found in documents from the second half of the 15th century. The town was the main Moldavian customs point on the commercial road linking the country to Tatar Crimea.[5] During his reign of Moldavia, Stephen III had a small wooden fort built in the town to defend the settlement from Tatar raids.[6]

The historical military cemetery in the city.
In 1538, the Ottoman sultan Suleiman the Magnificent conquered the town from Moldavia, and renamed itBender. Its fortifications were developed into a full fortress under the same name under the supervision of the Turkish architect Koji Mimar Sinan. The Ottomans used it to keep the pressure on Moldavia. At the end of the 16th century several unsuccessful attempts to retake the fortress were made: in the summer of 1574 PrinceJohn III the Terrible led a siege on the fortress, as did Michael the Brave in 1595 and 1600. About the same time the fortress was attacked by Zaporozhian Cossacks.
In the 18th century, the fort's area was expanded and modernized by the prince of Moldavia Antioh Cantemir, who carried out these works under Ottoman supervision.
In 1713, the fortress, the town, and the neighboring village Varniţa were the site of skirmishes (kalabalik) between Charles XII of Sweden, who had taken refuge there with the Cossack Hetman Ivan Mazepa after his defeat in the Battle of Poltava, and Turks who wished to enforce the departure of the Swedish king.[7]
During the second half of the 18th century, the fortress fell three times to the Russians during the Russo-Turkish Wars (in 1770, 1789, and in 1806 without a fight).
Along with Bessarabia, the city was annexed to the Russian Empire in 1812, and remained part of the Russian Governorate of Bessarabia until 1917.
Tighina was part of the Moldavian Democratic Republic in 1917-1918, and after 1918, as part of Bessarabia, the city belonged to Romania, where it was the seat of Tighina County.
Along with Bessarabia, the city was occupied by the Soviet Union on June 28, 1940, following an ultimatum. In the course of World War II, it was retaken by Romania in July 1941, and again by the USSR in August 1944.
In 1940-41, and 1941-1991 it was one of the four "republican cities" (i.e., not subordinated to a district) of the Moldavian Soviet Socialist Republic, one of the 15 republics of the Soviet Union. Since 1991, the city has been part of the independent Republic of Moldova.
A monument of an Infantry fighting vehicle of the Transnistrian Army.
Due to the city's key strategic location on the right bank of Dniester river, 10 km from left-bank Tiraspol, Bender saw the heaviest fighting of the 1992 War of Transnistria.
Since 1992, Bender has been formally in the demilitarized zone established at the end of the conflict, but is de facto controlled by Transnistrian authorities. Moldovan authorities control the commune of Varniţa, which fringes the city to the north. Transnistrian authorities control the communes of Proteagailovca, which borders the city to the west, Gîsca, which borders the city to the south-west, Chiţcani and Cremenciug, further to the south-east, while Moldovans are in control ofCopanca, further to the south-east.

mercoledì 3 aprile 2013

MALA EDUCAZIONE SIBERIANA (SIBIRSKIJ NE-OBRAZOVANIE)


che ringrazio

(il film fa cagare a parte uno splendido Malkovic e il titolo che ammetto: è bello)




L’ ex soldato (forse) Nicolai Lilin, grande amico dell’ inutile Roberto Saviano (altro cazzaro intergalattico e destro) meterora delle tante apparse nel mondo arido, primitivo e strumentale dell’ editoria italiana, svela il suo vero (o meglio, falso) volto. E non è questione di tatuaggi, ma di sostanza, letteraria e politica. Fatevi un giro sul web, la letteratura contro le bufale di Lilin è abbastanza nutrita, nonostante la censura della casa editrice berlusconiana ad ogni critica al nuovo cavallo di razza.
Per Lilin è un DOVERE, rispondere alla chiamata di Casa Pound e correre a presentarci assieme i libri che lui (o forse lo stesso scrittore segreto che scrive quelli di Melissa P.) scrive. Dal 2009, sono molte le iniziative in cui Casa Pound si vanta del supporto dello scrittore russo o transinistriano o addirittura ceceno, come spesso si sente dire (un pò come se il tristemente noto camerata Kesserling si spacciasse per un lucchese di Sant’ Anna di Stazzema).
Giunto in Italia solo nel 2004, famoso per essere uno dei pochi stranieri che scrive benissimo in italiano senza però saperlo nemmeno parlare bene, ha suscitato subito numerose polemiche con il suo libro d’ esordio Educazione Siberiana, dove si mitizza il popolo siberiano Urka, adornandolo di onore e merletti ed assurgendolo al popolo d’ onore per eccellenza. Peccato che la grande tradizione letteraria russa ci ha lasciato ben più credibili testimonianze degli Urka siberiani, una delle maggiori cause di morte e stupro per i cittadini e le cittadine dell’ Unione Sovietica mandati al confino nei Gulag siberiani dal Partito Comunista.
E fino ai 18 anni il nostro esperto di società siberiana in realtà vive in Transnistria, una Repubblica de facto, non riconosciuta a livello internazionale, essendo considerata ufficialmente come parte della Repubblica Moldava. In Transnistria si smercia la quasi totalità dell’ armamento atomico dell’ ex Unione Sovietica, hanno sede le varie mafie russe, si smistano corpi, droghe, armi e contrabbandi di ogni genere, che le hanno garantito lo status di “buco nero d’ Europa”.
E per Lilin il suo popolo Urka è stato deportato da Stalin (non so se proprio in persona) dalla Siberia alla Moldavia; questa dichiarazione ha scatenato l’ ilarità del mondo accademico slavo e non solo, ma di chiunque abbia un minimo di dimestichezza con la cultura e la storia russa.
Ma il Linin figlio di deportati dal Baffone che descrive la Transistria sbagliando pure i nomi dei fiumi e dei quartieri, già a 12 anni si tatua, spara, impara ad essere un duro, ma onesto criminale d’ onore.
Viene però sbugiardato quasi ad ogni iniziativa pubblica, da cittadini della Transnistria che disconoscono tutto quel che scrive o da chi gli fa notare che un non russo non può combattere per l’ esercito russo, specie in zone calde come la Cecenia. Quella di aver combattuto per il Mossad in Iraq è così grossa che non c’ è bisogno di smentite; fosse vero, sarebbe morto due ore dopo aver confessato.
Ma la parentesi più colorita nella vita di Lilin resta la sua (reale o millantata che sia) esperienza da macellaio dell’ esercito russo contro il popolo ceceno, quegli “sporchi arabi” da sempre restii alle invasioni straniere e recentemente sempre nel mirino dei fucili russi. Una guerra, quella cecena, entrata nel vivo nel 1994, a seguito della dichiarazione di indipendenza della Repubblica Cecena del 1991, non riconosciuta dalla Russia, che mira da sempre allo sfruttamento delle immense risorse naturali cecene. Dislocatasi su più fasi e più periodi conflittuali, la guerra cecena è stata una delle più sanguinose mai avvenute; simbolico fu l’ assedio di Grozny, la capitale cecena, letteralmente rasa al suolo dalle milizie russe, e non così per dire, fu veramente rasa al suolo. La Cecenia è poi il territorio più minato del mondo, il numero dei morti è incalcolabile, ed alla maniera di Putin il tutto si è concluso con una farzesca messa in scena, che ha portato al potere prima i separatisti islamici, normalizzati e resi filo-russi dal pugno putiniano, e poi direttamente il capo delle milizie paramilitari filo-russe. In elezioni contestatissime, dove a votare erano per lo più occupanti militari russi e non il popolo ceceno (in base alla Nuova Costituzione Cececa, scritta per loro dal Cremlino.
Ora, su 142 milioni di russi l’ esercito non aveva abbastanza carne da macello da dover prendere in prestito (e come, poi?) altri papabili militari dai paesi limitrofi?
Come se non bastasse, Lilin si dichiara convinto, fervente e praticante cattolico; credibile come se Madonna si dicharasse vergine. Un Urka siberiano (che però è nato in Transnistria) ed ha fatto la guerra cecena per l’ esercito russo (?!?!), ha combattuto per il Mossad in Iraq, alla fine non può che essere cattolico, non credete?
Ed è in arrivo un film di Gabriele Salvatores. Ed uno spettacolo teatrale…..
Ecco un articolo del Corriere sull’ amore tra Lilin e Casa Pound.

Nicolai Lilin: «Andare a CasaPound è un dovere»

Il titolo è «Questione politica» ed è un lungo messaggio – un post nel linguaggio di Facebook – scritto dal romanziere Nicolai Lilin ai lettori nella sua pagina personale sul social network. L’ autore di Educazione siberiana, piccolo caso letterario pubblicato da Einaudi, spiega tra l’ altro perché sabato 26 settembre sarà a CasaPound Italia, centro sociale di estrema destra, nonostante «numerose lettere che ho ricevuto dove miei lettori e amici mi invitano a rifiutare». L’ evento, la presentazione del libro, è uno dei tanti appuntamenti culturali organizzati nella sala conferenze del palazzone occupato nel centro storico di Roma. Lì «i fascisti del terzo millennio», come si definiscono i militanti, ospitano famiglie senza alloggio e lavorano al rilancio della destra radicale. Lo scorso 6 febbraio anche Valerio Morucci, l’ ex brigatista del sequestro Moro e della strage di via Fani, ha presentato il suo libro Patrie galere (Ponte alle Grazie) a CasaPound. Mai la sala conferenze è stata così piena di giornalisti e telecamere. Ora tocca a Lilin, che non ha alcuna intenzione di rinunciare. «Non capisco il motivo. Rifiutare e negare alla gente partecipazione alla manifestazione culturale – scrive ancora Lilin in un italiano impreciso – è come negare a un umano soccorso medico, perché lui politicamente non è corretto. Un simile comportamento è contro la mia etica e la mia morale». Il suo romanzo racconta di un mondo scomparso, quello degli Urka siberiani, una comunità di criminali deportata da Stalin al confine con l’ attuale Moldavia, in una terra di nessuno: la Transnistria. Lilin si riconosce assolutamente in questa tradizione: «C’ è chi la vita la gode, chi la subisce, noi la combattiamo» è il motto Urka scritto sotto la foto su Facebook. Lui, ex militare ceceno, dice di aver ucciso più volte, di conoscere la morte come la vita e lo racconta nel suo libro. «Ho amici di destra e sinistra – scrive -. Mi trovo bene con loro, perché non li vedo come dichiarati politicamente, ma come persone, come gente che pensa e condivide alcune idee con me. Ricordo anche che è impossibile essere tutti uguali, io da bambino ho vissuto l’ alba dell’ impero che cercava di far diventare tutti uguali. E vi posso dire in tutta sincerità che l’ unica cosa che faceva diventare tutti uguali nell’ Urss era solo il colore del sangue con il quale hanno sporcato la coscienza sociale». Parole che entusiasmano Gianluca Iannone, presidente di CasaPound: «Sono commosso ed emozionato. Questa è la conferma che abbiamo fatto bene a invitarlo perché, al di là dell’ anticomunismo, gli riconosciamo l’ onestà intellettuale, così rara di questi tempi»