Il
30 marzo scorso il ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione
internazionale Paolo Gentiloni ha nominato i direttori di tre dei più
importanti Istituti italiani di Cultura all’estero: Marco Delogu è andato a
quello di Londra, Giorgio Van Straten a New York e Olga Strada a Mosca. La
nomina è avvenuta, dice il comunicato del ministero al termine della procedura
prevista per l’individuazione dei Direttori “di chiara fama” [virgolettato
loro] e basato sul lavoro istruttorio “di una commissione in cui erano
rappresentati, accanto agli Esteri, i ministeri dei Beni e delle Attività
Culturali e del Turismo e dell’Università e della Ricerca”.
Negli
anni passati una nostra concittadina, Paola Cioni, si è distinta dimostrando grandi
capacità in diversi Istituti italiani di Cultura, tra cui quelli di Mosca, Francoforte
e Toronto, ma non è mai arrivata a occupare la carica di Direttore. Carica, che
come si è visto, ora si ottiene solo per “chiara fama” (virgolettato). Tanto
per essere chiari, non sono i nomi a essere messi in discussione; non è forse
la sede, ormai sono in carica e, a parte uno, li conosciamo poco. Ci interessa,
invece, capire il senso delle nomine, il denominatore comune che le sostiene e
alimenta, in altre parole, cosa è importante per il ministro Gentiloni, e cosa
risulta, invece, dirimente. Delogu è un fotografo, forse tra i migliori che
abbiamo in Italia nonché, come dice il ministero, “editore, regista, curatore
di mostre, direttore artistico di vari Festival”. Van Straten uno “scrittore,
vincitore del premio Viareggio”, ma è stato anche consigliere di
amministrazione della Biennale di Venezia, consigliere di amministrazione Rai,
presidente dell’Azienda Speciale PalaExpo di Roma e presidente dell’Agis. La
Olga Strada, figlia di Vittorio Strada, uno dei massimi slavisti italiani, è
“organizzatrice culturale”. Ha una
“profonda conoscenza di ambienti culturali russi anche grazie [anche grazie]
alle sue iniziative presso le maggiori istituzioni museali del Paese, tra i
quali il Museo di Mosca [che, vi assicuro, non esiste], e il Museo
dell’Ermitage di San Pietroburgo” [che per fortuna esiste]. Quali siano state
queste iniziative, però, non viene specificato.
Come
si vede, il profilo dei chiara fama [senza virgolette, essendo una locuzione in
uso in italiano] è generico e ha una forte connotazione manageriale, mentre
sono del tutto assenti produzione scientifica e curricula accademici. Cosa abbiano
fatto in Commissione i rappresentati degli altri due ministeri, chi fossero e
cosa si sono detti (i verbali delle sedute, per esempio), resta sconosciuto. L’Italia, si sa, è un paese particolare. Si
occupano posti così importanti senza concorso, mentre si lasciano a casa decine
di migliaia di docenti medi “idonei” perché, come ha detto oggi il ministro [la
ministra] Stefania Giannini, “un concorso non l’hanno vinto”. L’Italia, si sa,
è un paese irriconoscente. La nostra Paola magari non ha organizzato mai mostre
[ma forse sì], però ha lavorato sodo per anni, parla cinque lingue e conosce
perfettamente il mondo culturale russo. Magari è stata ferma un giro. O magari
nessuna chiara fama, mai.
Ricordo con esattezza un fatto: era il 1995, venti
anni fa. A San Pietroburgo giunse un trentenne come direttore dell’Istituto
culturale olandese. Per un po’ visse anche a casa mia, in attesa di trovare un
posto adeguato. Aveva fatto domanda a l’Aja, presentato un progetto, ed era
stato scelto da una commissione. E non era neanche olandese, bensì belga, della
parte fiamminga.
Markonista
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