venerdì 2 gennaio 2015

UNA NUOVA VITA


Questa storia mi è sembrata molto interessante, ben scritta e abbastanza lontana da come vedo la vita, per poterla pubblicare
La Legione straniera è una delle poche forze militari occidentali composte principalmente da volontari stranieri. Fu fondata circa 200 anni fa per la stessa ragione per cui esiste l’Australia—per dare ai rifiuti della società un nuovo scopo nella vita, idealmente qualcosa che li allontani il più possibile da casa. La Legione ti accoglie, bastano una fedina penale sufficientemente pulita e il superamento delle prove fisiche e psicoattitudinali. In cambio, vieni spedito Dio solo sa dove e ti puoi guadagnare la possibilità di reinventarti.
Nel corso della storia, la Legione ha offerto una seconda occasione a gente che aveva fatto terra bruciata intorno a sé. Per i volontari capaci di sopportare la condizione di legionario c’erano in palio un inizio nuovo di zecca e un’identità fittizia, coronati da un passaporto francese. L’unica fregatura è che devi firmare un contratto da cinque anni e mettere in conto che probabilmente ti spremeranno fino all’ultima goccia, o se non altro vorranno almeno riguadagnare quanto hanno investito su di te.
Convinto di saperne quanto bastava grazie a Fuga all’Inferno di Jean-Claude Van Damme, oggi so che quando decisi di voltare pagina non avevo la più pallida idea di cosa comportasse la vita da legionario. A differenza dell’Esercito Americano, non puoi prendere appuntamento in anticipo e discutere i tuoi piani e i tuoi problemi con un reclutatore dall’aria paterna. Il massimo che puoi fare è presentarti all’ingresso de centro di reclutamento della legione con un documento d'identità e le dita incrociate. Non fraintendetemi—all'epoca non avrei potuto saperne molto di più, per come ero fatto. Lasciai il lavoro, abbandonai l’appartamento e sistemai la maggior parte dei miei beni terreni in un deposito. Ero in forma ed ero convinto. Un biglietto di sola andata, qualche tappa intermedia, e dopo 22 ore di viaggio mi ritrovai ad Aubagne, in Francia.
Dopo qualche birra mi sentivo ricaricato e pronto per una pausa potenzialmente lunga dalla vita reale e libera. Trovai finalmente il coraggio di varcare il cancello. Con me c'erano altri aspiranti legionari: un esile fumatore incallito marocchino e due spagnoli che sembravano usciti dalla versione euro-trash di Fight Club. Subito dopo si unì a noi un russo. C’erano delle ovvie barriere linguistiche, ma una volta ammessi avremmo imparato il francese come parte del programma della Legione. 
Prima di farci entrare, un legionario armato—il primo che vedessi di persona—controllò i  nostri passaporti. La serietà di quella mia decisione alquanto impulsiva stava assumendo contorni reali. Si assicurò rapidamente che ciascuno di noi fosse in grado di fare almeno quattro pull-up affinché nessuno perdesse tempo in seguito. Poi eravamo dentro, in attesa delle selezioni. 
Dopo averci fatto lasciare le nostre cose, ci mostrarono dove avremmo alloggiato—un edificio malandato che rievocava un progetto edilizio del blocco sovietico o una prigione in stile Art Déco.
Le settimane successive furono una raffica di test fisici e medici e un sacco di tempo libero. Lo passavamo dividendoci le poche sigarette a disposizione e parlando del più e del meno. Nel momento in cui sentivi chiamare il tuo nome per il test successivo, correvi ligio come per un’urgenza immaginaria e ti mettevi sull’attenti. Se a un certo punto non passavi un test o usciva fuori un problema medico, ti venivano riconsegnate tutte le tue cose ed eri fuori in pochi minuti.
C’è una vecchia battuta che fa più o meno così: “VENDESI – Fucile francese. Usato un paio di volte, mai per sparare”. Per chi non lo sapesse, la battuta allude alla tendenza dei francesi ad arrendersi e/o a essere occupati da altre nazioni. Come molte altre freddure, gioca su uno stereotipo inesatto—ai tempi di Napoleone nessuno pensava che i soldati francesi fossero incompetenti. Comunque, a mio avviso lo spirito di questa battuta sembra non riguardare gli aspiranti soldati francesi ad Aubagne. Risulta invece che molti di questi ragazzi si prendano piuttosto sul serio.
Il campione di ragazzi che ho conosciuto nella Legione era a dir poco eclettico. Non mi viene in mente un’altra situazione con così tanti rappresentanti di così tante nazioni che non sia una sessione dell’ONU. E le persone che incontri in Legione sono molto più interessanti di quelle che potresti trovare all’ONU. A un certo punto, con l’aiuto di un inefficace linguaggio dei segni e di un “interprete” ancora più inefficace, un egiziano mi chiese di pisciare in un preservativo per lui. Pare che avesse fumato hashish fino a qualche giorno prima e che nel frattempo lo avessero convocato per un test antidroga. Non avendolo mai visto, feci educatamente il finto tonto e declinai. Non l’ho mai più incontrato.

La serie successiva di prove doveva determinare se fossimo abbastanza intelligenti. Prima di tutto ci furono somministrati diversi test attitudinali per valutare la capacità di ragionamento, test che esclusero alcuni dei candidati meno dotati. Seguì un colloquio che era essenzialmente un prolisso “Perché ti vuoi arruolare?” Come in ogni colloquio di lavoro, si trattava di dirgli quello che credevi volessero sentirsi dire. In seguito passammo all'interrogatorio dello psichiatra.

Alla fine, dopo innumerevoli ore passate ad attendere in scomode sale d’attesa, l’unico ostacolo tra noi e un posto in Legione era quel che chiamavano “Gestapo”. Si diceva che a quel punto la Legione sapesse tutto di te—dicevano che per loro raccogliere informazioni sulla tua vita lavorativa, familiare, finanziaria e criminale era un gioco da ragazzi. Sarà, ma secondo me sono stronzate. Cioè, di certo qualcuno da qualche parte ha accesso a tutte queste informazioni, ma un’apatica amministrazione francese in un noioso buco di mondo vicino Marsiglia non è quel qualcuno. Comunque sia, mi chiamarono per un interrogatorio. 

L’idea è quella di intimorirti per farsi raccontare ogni cattiva azione che tu possa aver commesso da quando sei nato. Come tanti poliziotti stronzi prima di loro, usavano la vecchia tattica del “se dici bugie io lo saprò, quindi dimmi la verità e ti lascerò in pace.” Il poliziotto che aveva il compito di interrogarmi aveva davanti a sé il mio computer e cellulare che avevo ormai dimenticato da tempo. In un misto di tempismo e mera fortuna, non avevo niente di troppo scottante da nascondere. Ho sentito storie di foto di nudo un tempo private recensite entusiasticamente, di analisi dettagliate di cronologie di browser e di orientamenti sessuali messi accanitamente alla prova dalla "Gestapo". Nel mio caso, credo che la mia difficoltà col francese sia servita da benedizione: il mio poliziotto sembrava non vedere l’ora che uscissi dal suo ufficio.

Ahimè, alla fine sfociò tutto in uno smistamento puramente soggettivo. 36 tra di noi avevano superato ogni test, ma soltanto 18 potevano essere presi per il vero e proprio training nella remota e misteriosa “Fattoria”. Ero fiducioso, ma non avevo alcuna certezza. Speravo di poter proseguire, eppure una bella bevuta e un letto vero erano comunque molto allettanti. Dietro la porta numero uno c’erano carenza di sonno e punizioni corporali, mentre tra le fessure della porta numero due si irradiava la prospettiva di una vacanza francese. 

Per farla breve, fui scartato senza troppe cerimonie. Mi fu data una quantità di denaro talmente ridicola da sembrare un insulto (anche se in realtà fu una piacevole sorpresa, perché non me l’aspettavo), mi furono restituiti i miei miseri averi e in una manciata di minuti ero di nuovo tornato nei miei soliti panni. Non mi fu data alcuna spiegazione. Solo un “grazie per averci provato, a mai più.”

Adesso posso fare qualche deduzione pacata riguardo chi ce l’ha fatta e chi no. Al di là del fatto che avevamo già passato le selezioni, la scelta finale non aveva niente a che fare con le performance quantificabili durante i vari test. Se eri francese o se avevi esperienze precedenti nella fanteria della tua nazione eri dentro. Quanto al resto dei ragazzi che hanno avuto l’ok, sembravano particolarmente poveri e disperati—venivano da posti con poche alternative e la prospettiva di un salario e un’eventuale cittadinanza francese li avrebbe motivati a sopportare qualsiasi cosa. 

Detto ciò, sono soddisfatto di come sia andata. Ho imparato un po’ di francese e sono rimasto in giro per l’Europa abbastanza a lungo da trovare la mia dimensione. Ora sono a Bucarest, dove la birra costa poco e la mia conoscenza dell’inglese è molto richiesta. Me la intendo anche con una ragazza del posto che non ha nemmeno mai sentito parlare dell’Alabama. Dopotutto non è necessario arruolarsi nella Legione Straniera per iniziare una nuova vita.

Simon Bennett

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