giovedì 14 novembre 2013

NOI CHE SIAMO LA CLASSE MEDIA

Mentre a Milano vendono la sede del Corriere in via Solferino (segue post - dopo l'inter di Moratti), il governo continua a bloccare adeguamenti all'inflazione e ad aumentare la tassazione. Anche sulle pensioni (il mio stipendio e' bloccato da tre anni e nell'anno precedente non c'e' stato mese in cui ho preso la stessa cifra). Questa l'intervista di oggi.


Samuele Brivio MILANO - Il punto è presto detto: è giusto che un pensionato da 2.110 euro netti al mese si lamenti se il governo, il Parlamento (e anche gli amici al bar) gli chiedono di lasciare che la sua pensione venga rosicchiata, anno dopo anno, dal tarlo dell’inflazione? Samuele Brivio, ex bancario e militante di Sel - uno che quei soldi li porta a casa precisi al centesimo - non ha dubbi: «No, non è giusto. No e poi no. Lo scriva pure. E le spiego anche perché».
Brivio, 62 anni, milanese del quartiere Niguarda, di patrimoni da amministrare se ne intende. Per una vita ha lavorato, in Comit prima e in banca Intesa poi, come responsabile delle gestioni. Dei soldi degli altri, si capisce. Oggi fa i conti nel proprio di portafogli. Apre il mobile del soggiorno e ci mostra il 730. «Beh, come vede, con 2.110 euro netti supero i tremila lordi. Morale: già da due anni mi hanno bloccato l’adeguamento all’inflazione. Il mio assegno reale diminuisce mese dopo mese. Sia chiaro: da me non sentirà un lamento.
Nessuno mi deve spiegare che c’è un’Italia che soffre, arranca e lotta per colpa della crisi: lo so già. Però non venitemi nemmeno a dire che con i miei duemila euro al mese faccio parte della categoria dei ricchi. Eh no, non ci sto! La verità è che lo Stato va a prendere i soldi nel mucchio, nelle tasche in cui è sicuro di trovarli, dove è convinto che poi, alla fine, tutto si risolverà con qualche mugugno».
«Però no, non sono ricco - continua Brivio, prendendo fiato a stento -. Benestante sì, sicuro. Ma io qui vorrei che per una volta si guardasse a chi sta meglio. E una cosa è certa: ai ricchi, quelli veri, non vengono chiesti sacrifici proporzionati al reddito».
C’è un altro rospo che il nostro pensionato-bancario non riesce a mandare giù. «Ma lei ha idea di tutti i contributi che ho versato? - riparte con nuovo slancio -. Ho iniziato a lavorare a 17 anni. Quando sono andato in pensione, nel 2009, potevo contare su 2.167 euro al mese. Adesso, con il blocco dell’indicizzazione e le tasse locali che aumentano, ne prendo 2.110: 50 euro in meno al mese, 684 che mancano all’appello ogni anno. E’ a questi conti che bisogna aggiungere la mancata indicizzazione. Con un’inflazione all’uno per cento mi spetterebbero circa 390 euro l’anno. E per fortuna che il tasso di crescita dei prezzi oggi è molto contenuto».
Ciascuno ha un buon motivo per lamentarsi. Ma dove lo Stato dovrebbe prendere quello che serve a far tornare i conti? «Hanno tolto l’Imu a tutti, e questo è già uno scandalo, per poi aumentare l’Iva. Guardi che io mangio quanto mangia una milionario, alla fine il rincaro dell’Iva al supermercato non pesa in modo tanto diverso sui nostri conti correnti».
Brivio ricorda quando nel ‘69 entrò in banca. «Ero appena stato licenziato dall’azienda per cui lavoravo perché ero andato al funerale delle vittime di piazza Fontana senza chiedere permesso a nessuno. In realtà avevo già fatto il colloquio in Comit e sapevo di avere buone possibilità. Il primo gennaio ‘70 sono stato assunto. Allora sapevamo di appartenere all’aristocrazia del lavoro dipendente. Ma non immaginavamo che saremmo finiti così. Con i figli precari che hanno solo noi come ancora di salvezza. La mia, per dire, insegna. Ma ogni anno viene licenziata a giugno e assunta a ottobre. Il suo compagno idem».
«E adesso basta, però - dice Brivio con gli occhi -. Guardi devo uscire». Quelli come lui si sentono stritolati. Da una parte chi sta peggio non perdona alla classe media quel po’ di benessere costruito in una vita. «E chi sta meglio si nasconde per non pagare pegno. Abbiamo detto tutto. Finiamola qui».

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