mercoledì 20 marzo 2013

ANGELO MANCIA E ALEMANNO

Pochi giorni fa, il 12 marzo, è stato l'anniversario dell'uccisione di Angelo Mancia, avvenuta il 12 marzo 1980 a Roma, in via Tozzi 10, quartiere Talenti, per vendicare la morte di Valerio Verbano, ferito mortalmente dai NAR sotto gli occhi dei genitori pochi giorni prima in casa sua, a circa un chilometro da via Tozzi.

Secondo quanto scrivono ambienti vicini al neofascista ucciso,

Angelo Mancia lavora nella tipografia che stampa il “Secolo d’Italia” di via Del Boschetto, fatta saltare in area il 7 marzo 1980. In quella occasione restano feriti in maniera grave alcuni tipografi.  Non essendoci “scappato il morto” , due bastardi rossi in camice bianco, la mattina del 12 marzo si appostarono in via Federico Tozzi. Angelo, uscito di casa - vigliaccamente - viene colpito alle schiena con due colpi di pistola e poi finito con il colpo di grazia alla nuca.
Angelo Mancia paga con la vita la sua fede politica in quando oltre ad essere colpito per il lavoro che prestava al quotidiano del M.S.I., ricopriva l’incarico “gerarchico” di Segretario della sezione del quartiere Talenti. L'omicidio come di solito viene rivendicato da una delle tante sigle dell'estremismo comunista: i Compagni organizzati in Volante rossa.  Gli esecutori materiali dell'omicidio, grazie al lavoro svolto dalla magistratura romana, rimasero ignoti.

Il sindaco di Roma, Alemanno, a distanza di anni ha sentito il bisogno di testimoniare la propria vicinanza al ricordo di quella che è stata inserita tra le vittime del terrorismo con una corona di fiori, che ho fotografato.



Ero presente quel giorno. Sentii la sorella urlare pochi istante dopo l'uccisione di Mancia. Abitavo a pochi metri da quella casa. Mancia fu colpito alla schiena perché si accorse dell'agguato e cercò di raggiungere il portone di casa, ma venne ferito nel vialetto e poi finito con un colpo di grazia.

Si trattò di un omicidio annunciato. Dopo la morte di Valerio era evidente che ci sarebbe stata una risposta e Mancia, in passato quello che si definiva allora "picchiatore fascista", era assieme a Buffa e qualche altro neofascista meno noto, il più esposto, il bersaglio più facile e allo stesso tempo facilmente condivisibile all'interno dell'autonomia romana.

Sono passati 33 anni. Tanti quanti dalla fine della seconda guerra mondiale al rapimento di Aldo Moro.
Anni dilatati, anni stretti. Passati che trascorrono e altri che non vanno mai via. E che sono uniti da una medesima lettura della realtà, che ho ritrovato in un appartamento proprio adiacente quello di Mancia. Ben esposta alla vista. La foto, una vergogna, purtroppo è questa.













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