giovedì 28 febbraio 2013

La Società operaia di Istanbul




La Società operaia di Istanbul 

Giuseppe Mancini, 22 febbraio 2013

“Chi ama la patria la onori con le opere”. È il motto della Società operaia di mutuo soccorso di Istanbul, fondata il 17 maggio 1863 da 41 operai, con Garibaldi primo presidente effettivo e Mazzini presidente onorario, presto aperta alla partecipazione della comunità italo-levantina nella sua prospera totalità, ancora oggi attiva con circa 40 membri e in attesa di festeggiare il 150° anniversario. Un anniversario speciale. Speciale perché la sede, dopo decenni di abbandono, sta finalmente vivendo una fase di restauro e di rinascita. Me ne ha parlato Sedat Bornovalı, lo storico dell’arte – ex studente del liceo italiano e membro della Società operaia – che coordina il progetto. Si trova proprio nel cuore di Istanbul, in un vicoletto sull’Istiklal Caddesi, già Grande rue de Péra: fuori sventola il tricolore, al piano terra fino all’anno scorso c'era il ristorante Garibaldi. L'edificio, di circa 200 metri quadrati su quattro piani, è stato costruito attorno al 1880 e ha subito un intervento architettonico correttivo già negli anni 1908-1910 per migliorarne la stabilità; il suo teatro ha ospitato per molto tempo spettacoli e balli dell'alta società, e fino al 2011 proiezioni di documentari.
All’interno busti risorgimentali e reali, lapidi che segnano le tappe decisive nella storia della Società e quella che identificava l'abitazione di Garibaldi (a Istanbul tra il 1828 e il 1831), una piccola biblioteca e un archivio che custodisce le minute delle assemblee e i registri dei soci, ampi saloni. Grazie a un mecenate, il presidente dell'Associazione delle agenzie di viaggi turche (Türsab) Başaran Ulusoy, verranno realizzati in tempi brevi degli indispensabili interventi di consolidamento statico e di recupero delle decorazioni dal costo complessivo superiore a mezzo milione di euro. Ma i restauri sono solo la parte preliminare di un più vasto progetto: trasformare la sede della Società operaia di mutuo soccorso in un centro culturale italo-turco. Verrà creato un piccolo museo di documenti e cimeli, uno spazio espositivo verrà aperto ad artisti italiani e turchi, il teatro verrà attrezzato anche per ospitare conferenze. Un teatro realizzato durante l'intervento del 1908-1910 (l'edificio originario è invece opera del celebre architetto levantino Alessandro Vallauri/Alexandre Vallaury), su progetto di Enrico De Nari, a cui l'Istituto di ricerche di Istanbul – a pochi passi dalla sede della Società operaia di muto soccorso – proprio in queste settimane dedica una preziosa mostra.
Una mostra colta e raffinatissima, in programma fino al 20 aprile 2013: la terza della serie sugli architetti e urbanisti che hanno vissuto nella Istanbul cosmopolita a cavallo tra il XIX e il XX secolo, dopo quelle dedicate a Raimondo D’Aronco ed Henri Prost. In effetti, Edoardo De Nari non era ufficialmente né un architetto né un ingegnere e non frequentò mai scuole o apprendistati, pur esercitando apertamente entrambe le professioni ai massimi livelli di visibilità. Era invece un disegnatore e pittore, un tecnico di sala motori nella marina italiana; e non si chiamava neanche De Nari, ma Denari (di origini liguri, trapiantato a Venezia). Arrivò a Istanbul nel 1895, a 21 anni, da imbarcato; aveva un gran talento per la pittura, trovò l’amore – Cristel Mordtmann, figlia di ricco padre tedesco (medico e orientalista) e di madre italiana – e il lavoro, guadagnando poi fama e autorevolezza. Morì nel 1954, nella sua residenza estiva sull’isola di Büyükada, e venne presto dimenticato.
Fino alla casuale scoperta dell’architetto Büke Uras risalente paio di anni fa e avvenuta presso un rigattiere nel quartiere di Çukurcuma (a cui ha dato fama mondiale il Museo dell’innocenza di Pamuk): due bauli con buona parte dei suoi archivi personali, disegni, lettere, il suo diario. Documenti che hanno dato vita alla mostra e che hanno permesso di attribuire proprio a De Nari – cominciò a farsi chiamare così dopo il suo fidanzamento aristocratico – alcuni edifici prima senza autore.
La mostra ripercorre – grazie ai materiali d’archivio e a didascalie molto esaustive, in turco e in inglese – la carriera professionale e politica di De Nari. Si occupò, quasi sempre in équipe, di edifici pubblici e di chiese (anche di quella di Sant’Antonio su Istiklal Caddesi), ma anche di ville private. Nel corso del tempo spaziò tra i vari stili architettonici di volta in volta di moda, mostrando regolarmente uno spiccato interesse per i dettagli e per le soluzioni funzionali e ardite negli interni. Seppe conquistarsi anche un ruolo di grande influenza politica: come leader e rappresentante della comunità italiana, come mediatore tra le autorità ottomane e poi repubblicane e quelle italiane, nelle fasi belliche e poi in materia commerciale. Era apprezzato da tutti, anche da Atatürk, che fu ospite nella residenza privata dell’architetto-non architetto, villa Lydia – dal nome di sua figlia – a Bebek, sul Bosforo.
Chissà quanti altri archivi privati aspettano di essere riscoperti, o sono andati dispersi e distrutti. Proprio per questo motivo, la Società operaia di muto soccorso di Istanbul ha in animo anche di raccogliere e preservare la memoria documentale della comunità italo-levantina, oggi priva di punti di riferimento; così da evitare che il ricordo di una comunità fiorente nella Costantinopoli cosmopolita svanisca del tutto.
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