giovedì 18 ottobre 2012

L'ASSEDIO DI LENINGRADO





Lena Muchina, …Sochrani moju pečal’nuju istoriju… Blokadnyj dnevnik Leny Muchinoj [Custodisci la mia triste storia. Il diario dell’assedio di Leningrado di Lena Muchina], San Pietroburgo, Azbuka, 2011, 363 pp.

Il diario di Lena Muchina, in uscita a gennaio per Mondadori, ha rappresentato una grande novità per l’editoria russa, così come per quella europea più in generale. Si tratta della viva testimonianza di una persona qualunque, una sedicenne leningradese, di uno degli avvenimenti più importanti – forse il più sconvolgente – della “Grande guerra patriottica”, come i russi chiamano la Seconda guerra mondiale: l’assedio di Leningrado, durato circa 900 giorni – dal settembre 1941 al gennaio 1944.
In Russia il tema dell’assedio è stato molto studiato. A San Pietroburgo esiste un museo, sono noti i ricordi e i diari di tante persone, tra cui quelli del grande filologo Dmitrij Lichačev, di L. Ja. Ginzburg, e due brevi scritti di adolescenti: quelli di Jurij Rjabinkin e di Tat’jana Savičeva (9 pagine in tutto). Quello di Lena, però, è qualcosa di nuovo e come tale è stato accolto in Russia nel 2011, quando è stato pubblicato dalla casa editrice Azbuka di San Pietroburgo. Il diario fu rinvenuto nel 1962 e depositato presso l’Archivio del Partito comunista di Leningrado (oggi Archivio Statale Centrale della documentazione storico-politica di San Pietroburgo). Per lunghi anni nulla si seppe dell’autrice e del suo destino alla fine della guerra e solo in tempi recenti si scoprì che si era salvata e che era vissuta presso alcuni parenti a Mosca fino al 1991, anno della morte. Con loro non aveva mai parlato del diario, e solo grazie al lavoro dell’Accademia delle Scienze di San Pietroburgo lo scritto è stato preparato per la pubblicazione. Sergej Jarov, ricercatore dell’Accademia, ha scritto che leggendo il diario ci si trova di fronte alla continua analisi del mondo che circonda la protagonista. È come trovarsi sopra un vulcano di emozioni: talmente forti che una volta finita la guerra, Lena – praticamente – non sarebbe più tornata a Leningrado. Né avrebbe tentato di ritrovare il suo diario, il libro che voleva scrivere e che sarebbe stato pubblicato solo venti anni dopo la sua morte. Al contrario degli altri diari finora noti, ha aggiunto, gli avvenimenti come i bombardamenti, la guerra, il lavoro in ospedale tra i feriti o la scuola fanno solo da sfondo al vero protagonista del testo: il mondo interiore di Lena.
Nata il 21 novembre 1924 a Ufa, nella regione degli Urali, alla vigilia dell’invasione tedesca Lena vive nel centro di Leningrado assieme alla zia, Elena Nikolaevnaja (Muchina, ma Bernackaja da sposata) e Aka (Rosalia Karlovna Krums-Shtrauss, di origine inglese), in quanto la madre Marija, sorella di Elena, soffre di una grave malattia e non se ne può occupare. Verso la fine dell’ottava classe, nel maggio del 1941, mentre sta per sostenere gli esami di fine anno, decide di cominciare un diario. Nelle sue intenzioni si tratta di un diario come ce ne sono tanti: lo stress per le notti passate sui libri, il primo amore, le amiche, il rapporto con la zia-madre Elena, quello con Aka, la casa in comune dove le tre donne vivono assieme ad altre famiglie, l’attesa dell’estate, che dovrà essere la più bella della sua vita. Pagine di facile lettura, scritte con una lingua viva, giovane, diretta e chiara. In alcuni punti Lena corre avanti, per poi tornare indietro e riprendere argomenti già trattati. Mentre verga le sue pagine, ovviamente, non conosce il proprio destino, né quello delle persone che la circondano. Lo intuisce, a volte, come nel caso della morte di Aka e delle sue “madri” (punto su cui tornerò), ma poi, ad accadimento superato, prende la penna per chiarire meglio a se stessa come siano avvenuti i fatti.
Lena è figlia del suo tempo. Come tutte le adolescenti ama sognare, ritiene la scuola più un dovere che un piacere, ma alla sua età sa già apprezzare il poeta nazionale Aleksandr Puškin e lei stessa scrive poesie; cita Ivan Turgenev e studia i classici. Contestualmente, è anche figlia del regime nel quale vive e del quale condivide i mutamenti: prima dell’invasione del 22 giugno la radio sovietica trasmette spesso musica dell’alleato tedesco (è un elemento non secondario: accadde anche con il cinematografo) e la stessa Lena studia tedesco a scuola. Poi, dal 22 giugno 1941, tutto cambia: i tedeschi sono diventati i nemici e la propaganda afferma che non potranno mai vincere, anche se hanno armi moderne, perché “vanno all’assalto ubriachi”, mentre i russi combattono per il proprio paese.
Il conflitto non cambia solo il destino delle canzoni e delle pellicole. Si tratta di una guerra totale, che tocca ogni singolo abitante del paese, ne sequestra il destino e lo deforma, per restituirlo, stravolto, solo alla sua conclusione. Lena deve rinunciare alle vacanze estive e per alcuni mesi lavora come crocerossina. Poi torna in città per cominciare il nuovo anno scolastico. Ma qui resta intrappolata nella morsa dell’assedio tedesco, morsa stretta definitivamente l’8 settembre 1941. Da questo momento i giorni sono cadenzati dalla ricerca del cibo venduto solo con una tessera annonaria ogni decade, (150 grammi di pane, 10 cioccolatini, 100 grammi di burro…), dalla difesa dal freddo (a causa della penuria di energia elettrica le case non sono illuminate, né riscaldate per la mancanza di petrolio e la temperatura media in camera varia dai 6 ai 12 gradi) e dalla ricerca dei soldi necessari per gli alimenti. Soldi, che cessano di colpo quando muore la zia-mamma Elena, nel febbraio 1942.
Marija, la sorella di Elena e madre naturale di Lena, se n’era andata all’inizio della guerra, nel luglio 1941. Nel giro di pochi mesi, dal luglio 1941 al febbraio 1942, tutto è mutato. Lena ha perso nell’ordine la madre naturale, Aka e Elena, entrambe morte di stenti. Sola, priva della solidarietà dei vicini in un momento in cui la lotta per la sopravvivenza diventa particolarmente aspra, Lena cerca di contattare una lontana parente a Gor’kij (oggi Nižnyj Novgorod), poi trova ricovero presso un’amica, Galija, la quale perderà presto il padre, anche in questo caso per inedia. Passata attraverso la casa d’amici di “mamma” Elena, sarà evacuata alla fine del maggio 1942, come la stessa Lena annuncia il 25 del mese, nell’ultima pagina del diario.
Il diario di Lena non è un elenco delle difficoltà dovute all’assedio tedesco, alla fame e alla minaccia costante della morte. Si tratta quasi di un romanzo, nel quale le note quotidiane manifestano progressivamente l’emozione e la consapevolezza di vivere un momento epocale, che avrebbe segnato per sempre la protagonista e la sua città. Ma è anche un mezzo attraverso il quale Lena rielabora il trauma dell’assedio, e forse per questo cerca di scrivere solo cose interessanti, episodi non secondari: parla dei suoi sogni, delle cose da fare, recconta della reazione del vicino, condivide le emozioni delle amiche, progetta una vita nuova non appena terminata la guerra. Ci sono dei passaggi, durante i giorni dell’assedio, nei quali Lena parla di un suo innamoramento e dell’improvviso addio. Il diario, per un momento, diventa tutto: «Caro dolce amico, prezioso mio diario – scrive. Solo con te condivido i dolori, le preoccupazioni e le disgrazie. In cambio ti chiedo unicamente una cosa: conserva la mia triste storia tra le tue pagine e quando giungerà il tempo, se lo vorranno, svelala ai miei parenti».
Per chi lo conosce dal di dentro è scontato che il mondo sovietico non sia mai stato un grigio monotono gulag dove tutte le teste erano “lavorate” allo stesso modo. La scuola, per esempio, non fu in grado di assolvere al compito che le aveva assegnato il regime: la creazione di un uomo nuovo, l’uomo sovietico. Alcuni sentivano questa condizione, altri no. E tra chi la sentiva, esistevano grandi differenze. La cosa non è così chiara per il lettore europeo (a volte neanche per gli studiosi), ma non credo sia compito di questo libro svelare “il mistero”. Può, però, aiutare.
Ci si può chiedere in che misura la figura di Lena sia paragonabile a quella di Anna Frank, come è stato ipotizzato in Russia. Per alcuni versi, in grande misura. In entrambi i casi ci si trova in una situazione di guerra (la stessa peraltro), sono due adolescenti a scrivere, i diari sono dettagliati e contengono solo cose interessanti (in una parola, universalizzano la condizione dello scrivente); entrambi s’interrompono in modo inatteso per la partenza delle due adolescenti. Lena e Anna, però, vivono una condizione molto diversa. Mentre Anna è costretta a nascondersi e a non sentirsi protetta in patria, Lena ha estrema fiducia nel suo paese (fiducia che a volte vacilla, ma per ritornare più solida). Non è sola, ma isolata, specialmente dopo la morte della zia-madre. Trova, però, sempre un punto di speranza, una via d’uscita dalla sua drammatica condizione. La sua è una lotta contro la fame e il freddo più che contro i bombardamenti, ai quali fa subito abitudine. E a differenza di Anna, che salirà su un treno che la porterà verso la morte, Lena con un treno viene evacuata da Leningrado verso la vita.


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