martedì 18 settembre 2012

Sul libro "l'Alleato Stalin"

foto segnaletica di Togliatti
Pubblico qui una vecchia recensione al libro l'Alleato Stalin pubblicata sul sito tuttostoria.net e una tarda replica. La lettura è lunga e forse tediosa. Ma ne vale la pena.


STALIN, TOGLIATTI E IL PCI IN UN LIBRO INDECENTE
Che la storia (intesa come historia rerum gestarum, come ricerca sul passato umano) non se la stia passando troppo bene, è sotto gli occhi di tutti: si pensi soltanto al proliferare di paccottiglia pseudo-“revisionista” o neoborbonica o neoclericale sul processo risorgimentale, e anche all’impunita impresa dellutriana (e di una piccola legione di fàmuli mediatici del senatore siculo-milanese) d’imporre alla distratta attenzione d’un pubblico di bocca buona i “diari” similmussoliniani. Ma che ci si mettesse anche qualche storico di mestiere a concorrere al discredito della nobile disciplina, questo non me lo sarei proprio immaginato.
È il caso di Marco Clementi1, il cui libro L’alleato Stalin. L’ombra sovietica sull’Italia di Togliatti e De Gasperi (Milano, Rizzoli, gennaio 2011) è veramente indecente: già da una prima lettura, infatti, non solo risulta palese che l’autore ha (scientemente?) trascurato il riferimento puntuale a buona parte della storiografia italiana sull’argomento, ma saltano all’occhio non pochi svarioni inammissibili non solo in uno storico2, ma anche (in qualche caso) in una persona di media cultura. Mi limito a segnalarne al mio cortese lettore soltanto qualcuno, cogliendo – come si diceva una volta – fior da fiore3.
A p. 21, per esempio, Clementi scrive di un Mussolini “liberato dal suo esilio sul Gran Sasso d’Italia dai tedeschi.”; a p. 32, delle “condizioni della pace sottoscritta da Badoglio”; e a p. 71, traducendo da un documento diplomatico russo, nomina – con riferimento al secondo governo Badoglio – un ministro “Rodano del partito cristiano” (identificato nell’indice onomastico con Franco Rodano, nel 1944 dirigente del Partito della sinistra cristiana): evidentissima è la confusione con Giulio Rodinò, della Democrazia cristiana!4
A p. 24 Clementi definisce Vyšinskij “primo viceministro del governo sovietico”, invece che vicepresidente del Sovnarkom, cioè del Consiglio dei commissari del popolo (lo era dal 1° giugno 1939) e primo viceministro degli Esteri
1 Da non confondersi con l’omonimo ricercatore che insegna Relazioni Internazionali alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Pavia – e di cui segnalo il recentissimo volume Primi fra pari. Egemonia, guerra e ordine internazionale (Bologna, il Mulino, 2011). 2 Per uno storico, infatti, come giustamente osservava nel 1937 Alfred E. Housman, “l’accuratezza è un dovere, non una virtù” (cit. da Edward H. Carr, Sei lezioni sulla storia, Torino, Einaudi, 19672, p. 15).
3 A ogni buon conto, prevengo il possibile rimprovero d’indirizzare critiche malevole soltanto a giovani storici in carriera (il cui italiano è, sia detto, en passant, troppo spesso un po’ approssimativo), segnalando anche che, benché siano trascorsi ben dieci anni tra la prima e la seconda edizione del pregevole volume di Elena Aga-Rossi e Victor Zaslavsky, Togliatti e Stalin. Il Pci e la politica estera staliniana negli archivi di Mosca (Bologna, il Mulino, 1997 e 2007), nessun più o meno autorevole recensore ha rilevato che i due autori hanno tenacemente continuato a collocare l’incontro dell’ottobre 1944 fra Togliatti e alcuni dirigenti della Resistenza jugoslava a Roma (cfr., rispettivamente, p. 136 dell’edizione 1997 e p. 140 di quella 2007) invece che a Bari, come aveva precisato fin dal 1975 Paolo Spriano nel vol. V della sua Storia del Partito comunista italiano (Torino, Einaudi, 1975, p. 436).
4 Altra confusione di nomi si ha a p. 300 (e nello stesso indice onomastico): il Luigi Antonioni ivi menzionato è ovviamente il sindacalista italo-americano Luigi Antonini (uno dei finanziatori della scissione socialdemocratica di Palazzo Barberini). E a p. 343 (n. 49) lo storico pistoiese Renato Risaliti viene “ribattezzato” Sergio!

(il ministro era Molotov); e a p. 42 lo declassa addirittura a “segretario del ministero degli Esteri sovietico”. Quanto alle “migliaia di prigionieri italiani già detenuti dai tedeschi in Romania dopo l’8 settembre” di cui parla a p. 91, si trattava – in verità – di nostri militari che il regime di Ion Antonescu aveva internato in alcuni campi, rifiutandosi però di consegnarli all’alleato germanico5.
Il lettore con qualche conoscenza di storia dell’Italia novecentesca non può non rimanere stupefatto imbattendosi (p. 84) nell’affermazione che Ivanoe Bonomi, nella crisi postbellica dello Stato liberale, non fu ministro della Guerra: egli occupò, infatti, questo dicastero nel governo Nitti e pure nel quinto governo Giolitti, dal giugno 1920 allo stesso mese dell’anno successivo – e proprio alla sua azione all’epoca dell’ultimo ministero guidato dallo statista di Dronero si riferiva quell’agente sovietico nell’Italia liberata (“tale Friedrich”6) che, in un rapporto inviato a Manuil’skij e Dimitrov alla fine dell’ottobre 1944, ricordava che l’ex socialista mantovano aveva armato i fascisti e favorito l’afflusso nelle loro file di migliaia di ufficiali smobilitati7.
A p. 96, poi, Clementi accenna (sulla base del resoconto russo d’una conferenza tenuta a Mosca da Giovanni Germanetto il 25 marzo 1944, è vero, ma senza rettificarne l’errore!) che Alberto Moravia “aveva lasciato l’Italia perché ebreo”; e a p. 99, riassumendo ancora un documento russo, parla del Fronte giovanile, e non del Fronte della gioventù – quello promosso, durante la Resistenza, da Eugenio Curiel, per intenderci... Inoltre, dimostrando un’ammirevole padronanza della storia dell’Europa centro-orientale durante il secondo conflitto mondiale, a p. 195 scrive non solo che l’Italia aveva annesso nel 1941 l’intera Slovenia, ma perfino che “la Dalmazia e la Croazia fascista entrarono a far parte dell’Impero italiano” – senza peraltro spiegare in che cosa la “Croazia fascista” si differenziasse dalla “restante parte della Croazia, comprendente la Bosnia-Erzegovina, [che] divenne indipendente sotto il governo degli Ustascia”...
Quanto alla bibliografia finale, non si può non avvertirvi la presenza di opere per niente attinenti all’argomento del libro, tanto che non vi vengono mai utilizzate: è il caso, per esempio, di quelle di Manlio Brosio (Diari di Washington e Diari di Parigi), di Clara Conti, di Massimo Rendina, di Leo Solari, di Mauro Valeri... In compenso, brilla per la sua assenza (anche perché del tutto “rimossa” dall’orizzonte storiografico di Clementi) la biografia togliattiana di Aldo Agosti8; e una raccolta di

5 Cfr. Mihai Pelin, Requiem pentru Convenţia de la Geneva, Venezia, Nagard, 1988. Pelin è stato il primo a trattarne. V. pure Sergio Pelagalli, Badogliani e repubblichini in Romania dopo l’8 settembre 1943, in “Studi storico-militari” [editi dall’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito], 1992, pp. 521-564. 6 A p. 107 (e nell’indice onomastico) Clementi, però, lo identifica nel cecoslovacco Bedřich Geminder (1901-1952), che sarà una delle vittime del processo Slánský.
7 Cfr. Angelo Tasca, Nascita e avvento del fascismo. L’Italia dal 1918 al 1922, Firenze, La Nuova Italia, 1950, pp. 155 e 201-202, n. 60; e Giorgio Rochat, L’esercito italiano da Vittorio Veneto a Mussolini (1919-1925), Bari, Laterza, 1967, pp. 397-398 (che rinvia a Roberto Vivarelli, Bonomi e il fascismo in alcuni documenti inediti, in “Rivista storica italiana”, a. LXXII, n. 1, marzo 1960, pp. 147-157). Contra, Luigi Salvatorelli, in Luigi Salvatorelli-Giovanni Mira, Storia d’Italia nel periodo fascista, 6a ediz., Milano, Mondadori, 1969, vol. I, pp. 172-173.
8 Aldo Agosti, Togliatti. Un uomo di frontiera, Torino, UTET, 1996 (2a ediz., 2003). A p. 332 (nota 15 al cap. 2) Clementi scrive che “sulla figura di Togliatti non si può non citare il volume di Federigo Argentieri La rivoluzione calunniata, Marsilio, Venezia, 2006”, che però non è una biografia del leader comunista, bensì un saggio sulla rivoluzione ungherese del 1956. Anche in questo caso Clementi menziona nel suo scritto opere poco o punto pertinenti con gli argomenti da lui trattati, ma che evidentemente sono scritte da suoi amici o da autori la cui vanità egli ha interesse a carezzare. – Non di rado, poi, Clementi si scopre una vocazione didascalica: p. e., a p. 363 (n. 89), ci informa
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studi di Luigi Cortesi9 è bensì menzionata nella bibliografia, ma nel testo non è mai presa in considerazione.
Altre opere incluse nella bibliografia (come le memorie di Anthony Eden e il libro di Ruth von Mayenburg) non si capisce perché vi compaiano; in ogni caso, non è affatto chiaro perché non si faccia riferimento anche alle loro traduzioni in italiano. Perla delle perle bibliografiche, la Storia segreta del Kgb di Christopher Andrew e Oleg Gordievskij è citata (p. 327, nota 4 del cap. 1) non nell’edizione inglese, e neppure nella versione italiana pubblicata da Rizzoli, bensì nella traduzione russa!
Molti altri rilievi potrei muovere a questo libro di Clementi. Per esempio, si amerebbe sapere perché, soffermandosi (p. 259) su un rapporto di Vladimir G. Dekanozov a Michail Suslov10 del 31 gennaio 1947 in cui si parla di contatti di Vittorio Vidali (Vidali!) con trockisti messicani, non abbia ritenuto opportuno precisare che il diplomatico sovietico era anche “un dirigente dell’Nkvd e strettissimo collaboratore di Beria”11; eppure, a p. 240, si era ben premurato di puntualizzare che il suo vero cognome era Dekanozishvili...
Nemmeno si comprende, del resto, il motivo che induce Clementi (p. 327, n.8) a rinviare – per il testo della Dichiarazione sull’Italia resa nota a conclusione della Conferenza di Mosca dei ministri degli Esteri dell’URSS, degli Stati Uniti e della Gran Bretagna (18-30 ottobre 1943) – soltanto alla “Pravda” del 2 novembre 1943, e non anche a una fonte più accessibile tanto agli studiosi12, quanto al lettore curioso13. Ancor meno chiaro risulta, per il noto articolo pubblicato sulle “Izvestija” del 30 marzo 1944, il mancato riferimento (p. 335, n. 61) alla sua traduzione inclusa nel bellissimo libro di Agostino degli Espinosa sul Regno del Sud14.
che il primo numero della rivista “La cultura sovietica” (apparso nel luglio 1945) ospitava “alcune recensioni, tra cui quella di un racconto di Vsevolod Ivanov a firma di Angelo Maria Ripellino, il maggiore boemista italiano del dopoguerra.” Peccato che, nelle note del cap. 3 (“Il caso dei prigionieri italiani in Unione Sovietica”), invano si cerchi un sia pur fuggevole riferimento (p. e. nella n. 25 a p. 342) allo studio che Valdo Zilli – il grande storico della Russia che ebbe il “privilegio” di vivere l’esperienza della prigionia nei campi di concentramento sovietici – dedicò a Gli italiani prigionieri di guerra in Urss: vicende, esperienze, testimonianze (“Rivista di storia contemporanea”, a. X, n. 3, luglio 1981, pp. 329-353).
9 Luigi Cortesi, Nascita di una democrazia. Guerra, fascismo, Resistenza e oltre, Roma, manifestolibri, 2004 (che comprende il saggio La «svolta» di Salerno. Palmiro Togliatti, l’eredità gramsciana e la geopolitica di Stalin, pp. 255- 318). 10 Sul cui ruolo nella storia del PCUS e dell’Urss cfr. Žores A. Medvedev e Roj A. Medvedev, Stalin sconosciuto. Alla luce degli archivi segreti sovietici, Milano, Feltrinelli, 2006, pp. 47-70.
11 Cfr. Arkadij Vaksberg, Viscinski: l’artefice del grande terrore, Milano, Mondadori, 1991, p. 238 (e p. 392, nota 2 al cap. X, per un rapido profilo biografico del personaggio). 12 P. e., Aldo Agosti (Togliatti, cit., p. 595) rimanda alle Foreign Relations of the United States [FRUS], 1943, vol. I (General), Washington, US Government Press, 1963, pp. 759-760. Delle FRUS, peraltro, Clementi include nella sua bibliografia (p. 372) il sito internet in cui sono reperibili.
13 Una traduzione italiana della Dichiarazione di Mosca sull’Italia (1° novembre 1943) è contenuta nell’utilissima appendice documentaria (curata da Sandro Rogari e Stefano Caretti) alla seconda edizione di Pierre Renouvin (diretta da), Storia politica del mondo, Roma, UNEDI, 1975, vol. VIII (Pierre Renouvin, Le crisi del secolo XX. 2. Dal 1929 al 1945), p. 680.
14 Cfr. Agostino degli Espinosa, Il Regno del Sud. 8 settembre 1943-4 giugno 1944, Roma, Migliaresi, 1946, pp. 317- 320. Quest’opera, peraltro, non è sconosciuta a Clementi che, nella bibliografia del suo volume, ne include la 3a edizione (Roma, Editori Riuniti, 1973) e vi rinvia a p. 338, n.99. – Non si comprende, tra l’altro, perché Clementi citi (p. 12) il discorso pronunciato da Stalin a Mosca, sulla Piazza Rossa, il 7 novembre 1941, senza però indicare alcuna delle raccolte italiane di scritti del dittatore sovietico che lo includono (p. e., Stalin, Sulla grande guerra nazionale dell’U.R.S.S., Roma, Società Editrice «l’UNITÀ », 1945, pp. 27-29) e limitandosi, ma solo nella bibliografia finale (p. 381), a indicare l’edizione russa del 1946.
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Non posso, infine, non chiedermi di quali potenti appoggi egli goda presso la Rizzoli che non solo ha pubblicato questo volume veramente impresentabile, ma l’ha pure vistosamente lanciato riservandogli quasi un’intera pagina del “Corriere della Sera” (5 febbraio 2001, p. 44) curata da quell’Antonio Carioti a un cui lavoro Clementi rinvia a p. 361 (nota 47 del cap. 5), omettendo peraltro di menzionare il ben più solido e documentato lavoro di Giuseppe Parlato15.
Ma veniamo, ora, al “piatto forte” di questo libro di Clementi, ossia alla sua asserita dimostrazione che la “svolta di Salerno” sarebbe scaturita da un’iniziativa di Renato Prunas (segretario generale del ministero degli Esteri del governo Badoglio nel Regno del Sud16), e non di Stalin – né, tanto meno, di Palmiro Togliatti: “finalizzata dagli italiani al ripristino di un contatto diretto tra Italia e Urss, questa operazione prese dunque origine da dentro le file del governo italiano e, per tramite di Vyšinskij, di quello di Mosca” (pp. 40-41). Non solo: “l’impostazione che Prunas aveva dato alla propria iniziativa (...) finì per rappresentare una sorta di road map che in breve tempo avrebbe portato al ripristino delle relazioni dirette tra i due paesi e alla svolta di Salerno, con la conseguente apertura del governo ai partiti democratici, ma senza il temuto stravolgimento politico che questa avrebbe potuto comportare” (p. 44)17. Il governo Badoglio, insomma, secondo Clementi “fu il vero ispiratore della nuova politica” del PCI dopo il rientro di Togliatti in Italia (p. 50), Prunas e Vyšinskij essendone i registi (p. 331, n. 1)!
L’ancor giovane studioso dell’Università della Calabria sostiene che “la documentazione disponibile, ignorata in precedenza da molti studiosi, [gli] ha permesso di ricostruire nei particolari la genesi della svolta” (ibidem). In effetti, però, non solo non c’è documento d’un certo rilievo da lui citato che non sia già stato (e con ben altra perizia storico-filologica...) considerato e attentamente analizzato dalla più o meno recente storiografia italiana e russa sull’argomento18; ma questa stessa
15 Giuseppe Parlato, Fascisti senza Mussolini. Le origini del neofascismo in Italia, 1943-1948, Bologna, il Mulino, 2006. 16 “Fu lui [Prunas] il vero ministro degli Esteri del Regno del Sud, anche se agì nel rispetto delle gerarchie politiche rifiutando la nomina a sottosegretario” (Ennio Di Nolfo e Maurizio Serra, La gabbia infranta. Gli Alleati e l’Italia dal 1943 al 1945, Roma-Bari, Laterza, 2010, p. 88).
17 È però “interessante” (per usare un aggettivo caro a Clementi) l’osservazione di Aldo Agosti (Togliatti, cit., p. 273) che il 12 gennaio 1944, dai microfoni di Radio Milano Libertà (la quale trasmette da Mosca), Togliatti “delinea la via da seguire, esattamente nei termini in cui si concreterà il compromesso di Salerno: «creazione sollecita, immediata anzi, di un governo nazionale democratico e con la partecipazione di tutti i partiti antifascisti... pubblica solenne dichiarazione di tutti – a cominciare dal re e da Badoglio fino all’ultimo dei partiti – con la quale si promette al popolo che il problema della forma dello Stato sarà dal popolo stesso deciso, finita la guerra, attraverso l’Assemblea costituente di tutta la nazione»”; v. anche Piero Melograni, Dieci perché sulla Repubblica, Milano, Rizzoli, 1994, p. 48. Silvio Pons, L’impossibile egemonia. L’URSS, il PCI e le origini della guerra fredda (1943-1948), Roma, Carocci, 1999, p. 155, osserva giustamente, peraltro, che la missione di Vyšinskij, “pur aprendo una via alla possibilità del riconoscimento diplomatico [del Regno del Sud], non aveva determinato una decisione in questo senso”; e già Paolo Spriano, Storia del Partito comunista italiano, vol. V, cit., p. 176, aveva attirato l’attenzione sul fatto che, “in quegli stessi giorni – precisamente il 9 e il 10 di gennaio [1944, in cui incontra Prunas] – Vyšinskij, come membro del consiglio consultivo interalleato, vede [Velio] Spano”, cioè uno dei dirigenti comunisti italiani del Regno del Sud che avversavano il governo Badoglio. In verità, a differenza di quanto scriveva Spriano, gli incontri di Prunas con Vyšinskij si svolsero – a Ravello il primo, a Salerno l’altro – l’11 e il 12 gennaio 1944 (cfr. Ennio Di Nolfo e Maurizio Serra, La gabbia infranta, cit., pp. 103 e 274, nn. 67 e 70).
18 Non mi riferisco soltanto ai documenti provenienti dagli archivi di Mosca, ma anche a quelli presenti in archivi italiani. Per esempio, la lettera dell’Ufficio Esteri del Pcd’I del 20 marzo 1942 (citata da Clementi a p. 30-31 e 329, n. 24) è nota da qualche decennio: cfr. Paolo Spriano, Storia del Partito comunista italiano, vol. IV, Torino, Einaudi,
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storiografia (Mario Toscano19, Aldo Agosti20, Michail M. Narinskij21, Roberto Gualtieri22, Elena Aga-Rossi e Victor Zaslavsky23, Silvio Pons24, Luigi Cortesi25, Ennio Di Nolfo e Maurizio Serra26), pur nella varietà di posizioni, da un lato attesta l’insostenibilità dell’origine badogliana della “svolta di Salerno”27; e dall’altro non s’è mai neppur sognata di affermare, come fa Clementi (p. 48), che “Molotov (...) si risolse, con Vyšinskij, a convocare Togliatti” – e ciò per il semplice motivo che fu Dimitrov a chiedere a Molotov, il 1° marzo 1944, di ricevere “personalmente” il capo del PCI prima della sua imminente partenza per l’Italia!28 Al Cremlino, poi, nella notte fra il 3 il 4 marzo, Togliatti trovò non solo Molotov e Vyšinskij, ma lo stesso Stalin: Clementi, però, sembra accorgersi della presenza di Josif Vissarionovič solamente quando (incidentalmente, una pagina dopo) ci fa sapere che Togliatti “in
1973, pp. 92-93. En passant, notiamo che pure buona parte della documentazione utilizzata per il cap. 4 (“La questione di Trieste”) è già stata pubblicata da Pierluigi Pallante, La questione delle «foibe», Roma, Editori Riuniti, 2006 – e la lettera di Togliatti a Vincenzo Bianco del 19 ottobre 1944 era già stata resa nota da Paolo Spriano, Storia del Partito comunista italiano, vol. V, cit., p. 437-438. – La sostanza della relazione di Pietro Quaroni da Mosca in data 8 agosto 1944 (citata a pp. 68-69 e 336, n.73), poi, era già nota almeno dal 2002: cfr. Falcone Lucifero, L’ultimo re. I diari del ministro della Real Casa 1944-1946, a cura di Alfredo Lucifero e Francesco Perfetti, Milano, Mondadori, 2002, pp. 152-153 (annotazione dell’8 ottobre 1944). Colgo l’occasione per segnalare che Perfetti (nella n. 12 di p. 591) scrive che “Togliatti [era] partito da Mosca il 26 febbraio [1944]”: dimostrando così di non avere letto (o di avere solo distrattamente sfogliato) il libro di Elena Aga-Rossi e Victor Zaslavsky, Togliatti e Stalin. Il Pci e la politica estera staliniana negli archivi di Mosca, cit., da lui peraltro richiamato a conclusione della nota medesima. Non va sottaciuto, inoltre, che nemmeno lo storico della LUISS è riuscito (ahinoi!) a sottrarsi all’ormai troppo frequente malvezzo di “ribattezzare” personalità più o meno note: sicché (a p. XXXIII dell’Introduzione ai diari di Lucifero, e nello stesso indice onomastico) troviamo uno Stefano (invece di Raffaele!) de Courten, l’ammiraglio che fu ministro della Marina nei governi Badoglio e Bonomi.
19 Mario Toscano, La ripresa delle relazioni diplomatiche tra l’Italia e l’Unione Sovietica nel corso della seconda guerra mondiale, in Id., Pagine di storia diplomatica contemporanea, II, Milano, Giuffrè, 1963, pp. 289-358 (meglio nella versione inglese “aggiornata”: Resumption of Diplomatic Relations between Italy and the Soviet Union during World War II, in Id., Designs in Diplomacy. Pages from European Diplomatic History in the Twenthieth Century, Baltimore-London, The Johns Hopkins University Press, 1970, pp. 253-304).
20 Aldo Agosti, Togliatti, cit., pp. 269-282. 21 Michail M. Narinskij, Togliatti, Stalin e la svolta di Salerno, in “Studi storici”, a. 35, n. 3, luglio-settembre 1994, pp. 657-666. 22 Roberto Gualtieri, Togliatti e la politica estera italiana. Dalla Resistenza al Trattato di pace, 1943-1947, Roma, Editori Riuniti, 1995, pp. 3-34. 23 Elena Aga-Rossi e Victor Zaslavsky, Togliatti e Stalin. Il Pci e la politica estera staliniana negli archivi di Mosca, cit., pp. 55-66 (ediz. 1997); pp. 62-77 e 80-87 (ediz. 2007). 24 Silvio Pons, L’impossibile egemonia, cit., pp. 143-163. 25 Luigi Cortesi, La «svolta» di Salerno. Palmiro Togliatti, l’eredità gramsciana e la geopolitica di Stalin, in Id., Nascita di una democrazia, cit., pp. 255-318. 26 Ennio Di Nolfo e Maurizio Serra, La gabbia infranta, cit., pp. 62-145. 27 Per Ennio Di Nolfo e Maurizio Serra, La gabbia infranta, cit., “Prunas si persuase a prendere l’iniziativa [di avvicinare Vyšinskij] soltanto dopo essersi convinto che la via verso Mosca fosse l’unica strada percorribile per ridare fiato all’azione diplomatica italiana” (p. 101) giacché, se fosse stato “riconosciuto da uno o più Stati, il Regno del Sud avrebbe a sua volta, almeno formalmente, recuperato la piena sovranità anche sul piano internazionale, di cui lo privava il regime armistiziale” (p. 95); essi non esitano, però, ad affermare “che la decisione di un’apertura al governo Badoglio fu presa dal Dittatore sovietico subito dopo la Conferenza di Mosca (richiesta di visto di Togliatti e prima visita di Vyšinskij in Italia); ma che la linea da seguire (appoggio al Re e a Badoglio o a Sforza e ai partiti antifascisti) venne da lui tracciata solo tre mesi dopo, letteralmente alla vigilia della partenza di Togliatti, quando ormai non poteva più tardare.” (p. 126). 28 Georgi Dimitrov, Diario. Gli anni di Mosca (1934-1945), a cura di Silvio Pons, Torino, Einaudi, 2002, p. 689. In verità, già nel 1994 Michail M. Narinskij, Togliatti, Stalin e la svolta di Salerno, cit., p. 662, sottolineava che “fu Stalin in persona a ricevere Togliatti.” Lo stesso capo del PCI, del resto, aveva accennato a questo suo incontro con Stalin nella commemorazione del dittatore sovietico che tenne alla Camera dei deputati il 6 marzo 1953 (v. Atti parlamentari. Camera dei deputati. Discussioni. Seduta del 6 marzo 1953, p. 46.859; cfr. Roberto Morozzo della Rocca, La politica estera italiana e l’Unione Sovietica 1943-1948, Roma, La Goliardica, 1985, p. 30).
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quegli anni si incontrò con Stalin soltanto quattro volte, l’ultima delle quali, appunto, nella notte fra il 3 e il 4 marzo 1944” (p. 49)29.
La consueta tirannia dello spazio, e soprattutto la preoccupazione di non abusare della pazienza dei miei lettori, m’impediscono di soffermarmi quanto vorrei sugli altri tre capitoli del libro di Clementi, che quasi in ogni sua pagina (del testo e delle note) richiede non poche precisazioni, integrazioni, rettifiche. Mi limito, pertanto, a osservare che il giovane studioso dell’Università della Calabria avrebbe tratto sicuro giovamento anche dalla lettura delle dense e belle pagine di Aldo Agosti sul “gran rifiuto” che Togliatti, nel gennaio 1951, oppose alla proposta sovietica di lasciare la segreteria del PCI per assumere la direzione del Cominform30.
Milano-Genova, giovedì 31 marzo 2011

Lauro Grassi ricercatore all’Università degli Studi di Milano

29 “Non è rimasto, o non è ancora stato scoperto, o non fu materialmente fatto il verbale della riunione moscovita.” (Luigi Cortesi, La «svolta» di Salerno. Palmiro Togliatti, l’eredità gramsciana e la geopolitica di Stalin, in Id., Nascita di una democrazia, cit., p. 276). Ci punge vaghezza, pertanto, di sapere perché Clementi sia certo della sua esistenza – così certo da auspicare (p. 49) “la diffusione in tempi brevi” di questa “fonte interessante”.
30 Cfr. Aldo Agosti, Togliatti, cit., pp. 384-388 e (per le fonti e la storiografia in merito) p. 610.

Replica

La reciproca incomprensione non è una virtù, ma può diventare un viatico per la dialettica. L’amico Lauro Grassi ha recensito il mio libro, “l’Alleato Stalin” (Rizzoli 2011) scritto sulla base di documentazione studiata negli archivi ex-sovietici. Lo ha fatto senza possedere le competenze necessarie. Grassi, infatti, non conosce il russo e non ha mai messo piede in un archivio dell’ex Unione Sovietica. Non è il solo, in Italia, tra gli studiosi di storia russa/ucraina/ex sovietica, ma – almeno – egli si limita a commentare libri senza incamminarsi per impervi sentieri. È quasi un merito.
Eppure, anche questa pratica del commento fuori dalle proprie competenze dovrebbe finire. Una recensione non s’improvvisa, né acquisisce spessore se la si riempie di precisazioni pretestuose (e in molti casi errate), che nulla tolgono o aggiungono al libro. Senza una conoscenza generale e diretta dell’apparato documentale e non leziosa della storiografia italiana che un autore può decidere liberamente di non citare (nel mio caso, per carità di patria e per non sporcare il libro di sciocchezze, seppure altrui), e senza la conoscenza della lingua strutturale di una ricerca, sarebbe meglio – anzi costituirebbe solo un bene per la scienza storica – tacere. Lo dico con convinzione e con rispetto. Rispetto per il lavoro dello storico, che ha la possibilità di confrontarsi con la totalità dei documenti solo dentro un archivio, potendo così ricostruire il contesto che mai offriranno asettiche raccolte di materiale scelto non si sa bene con quale criterio e per giunta tradotto. Per inciso, in ogni archivio si firma il registro delle presenze quotidiane e si scrivono accanto al nome i documenti consultati. Non sempre, a Mosca, ho trovato gli attesi riscontri.
Mi si potrà obiettare che me la tiro troppo, che ho un’opinione oltremodo elevata di me stesso e che se si seguisse tale pratica assisteremmo a una moria di recensioni (et censorum). Tutto vero. Pazienza! Si studi di più: formiamo storici che conoscano le lingue e frequentino di più gli archivi. Si vive anche senza recensioni. Personalmente cerco di evitare perché quando si lancia del fango inevitabilmente la mano ti resta sporca. Ne avrò scritte un paio in vita mia, di quelle marchettare di cui mi vergogno ancora. Una ventina di anni fa, quando ero giovane e stupido.
Veniamo ora a quello che l’amico Grassi definisce il piatto forte del libro “L’alleato Stalin”, ossia Togliatti e quella che da oggi chiamerò la “svolta di pseudo-Salerno”. La figura del Migliore, verso il quale non ho simpatie o antipatie (in verità, nessun personaggio storico mi stimola in tal senso: mi definisco un entomologo nei loro confronti) e che ho perfino “difeso” da attacchi di storici dilettanti, è stata trattata con i guanti gialli da tanta storiografia, senza che fossero poste le domande giuste. Per esempio, invece di collazionare i vari documenti scritti in Russia sulla situazione politica italiana, perché non si fa la collazione delle parole di Dimitrov annotate nel suo diario dopo l’incontro di Togliatti con Stalin, Molotov e Vyshinskij (incontro, caro Grassi, RICHIESTO da Dimitrov ma VOLUTO da Stalin e co., che potevano pure rifiutare la sollecitazione) e quanto raccontato da Togliatti ai delegati del suo partito una volta rientrato in Italia? Si troverebbero interessanti analogie, che non finiscono da noi, ma continuano in ogni paese dove la resistenza si era divisa sul problema istituzionale e dove la politica sovietica di guerra totale per la distruzione della Germania prevedeva unità fino alla vittoria. Ancora, perché Togliatti (e con lui gli altri che sapevano) ha sempre mentito sulla data della sua partenza da Mosca, anticipandola? Sempre. È un punto importante: la maggiore svolta del Pci togliattiano, il partito nuovo, si è retta per decenni su una bugia. E quando è stata finalmente scoperta...come se non fosse successo niente. D’accordo, non costituisce reato e non chiederemo le dimissioni postume di Togliatti. Ma come storico mi chiedo perché ha ritenuto opportuno mentire, se sia stata una sua iniziativa, perché i sovietici non lo abbiano mai smentito e perché su questo punto si sia spesso sorvolato nella storiografia. Infine, perché proprio Vyshinskij, che aveva tribolato non poco in Italia e conosceva la situazione del paese (Regno del Sud) meglio di qualunque altro sovietico in quel momento, è presente all’incontro del 3 marzo 1944 tra Togliatti, Molotov e Stalin? La mia ricostruzione offre una risposta a questa domanda. Una risposta circostanziata, sostenuta dalla documentazione disponibile a Mosca e anche logica. Nessuno da difendere, nessuno da attaccare. La libertà dello storico. Che può rifiutare, come ha fatto Grassi, un dibattito pubblico sul libro indecente.
Al proposito appare naturale una domanda al curatore del sito, che ha ringraziato Grassi per la sua recensione. Se il mio è un libro indecente, quelli di XX, di XV, di XYZ o di ZX, gente che conosce l’italiano e forse a malapena l’inglese e si occupa (appunto, si occupa) di Europa Orientale, e che leggendoli non si capisce neanche di cosa stanno parlando, ma quelli, che sono?

Marco Clementi


Documento inserito il 14/09/2012

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