Ieri è stata una giornata importante. In ordine: la Spagna è scesa in piazza e si sono registrati pesanti scontri in alcune città con la polizia. I sindacati non accettano la riforma del lavoro proposta dal governo e hanno dichiarato che la lotta continuerà fino a che non otterranno mutamenti. La Spagna ha vissuto una "giornata greca", o "il fuoco greco", che secoli fa era un ottimo mezzo per combattere gli assedi.
Ricordate il pezzo di un inviato di Santoro sul lavoro in Spagna, terra dell'oro per gli italiani che non trovano da noi? Era pochi mesi fa, mica un anno.
In Grecia, nel frattempo, la polizia ha controllato molti immigrati per le strade di Atene. Da mesi sono in sciopero della fame per chiedere il riconoscimento del loro status di rifugiati politici. Parallelamente, l'università, di fianco alla quale si sta svolgendo la protesta, è stata attaccata dai neonazisti.
In Italia un gruppo di professori universitari ha firmato un "manifesto per un nuovo partito". Personaggi di sinistra girotondina, baroni ma anche diversi apprezzabili studiosi hanno deciso che è giunto il momento di cambiare. Il manifesto è delirante, purtroppo. Si utilizzano luoghi ormai diventati comuni, un lessico sinistroide pidiessino e salottiero. Proposte di democrazia dal basso e ritorno a uno Stato diviso in Comuni, come ai tempi delle Repubbliche Marinare. Per ora il partito non ha un nome. Ha una collocazione, a sinistra, sulle rovine della sciagurata svolta dei primi anni Novanta. Da allora non ci si è più ripresi.
Lasciamo che il progetto muoia da sé, o diventi qualcosa di più comprensibile. Poi, casomai, ne riparliamo. Un fatto è che dopo aver contribuito a distruggere l'università italiana, gestendo concorsi e corsi di laurea come cosa loro, contro la legge ma purtroppo tra la passività dei ricercatori, proprio alcuni di loro se la sentano, sulla soglia della pensione, di scendere in politica.
A Milano sono stati messi all'asta e comprati da dell'Utri volantini delle BR. I parenti delle vittime si sono lamentati per l'assenza dello Stato, che non li ha acquistati. Ma lo Stato ne ha pieni gli archivi. Qualcuno dovrebbe informarli. Inoltre, non è vero, come è stato dichiarato, che sono state fatte leggi solo a favore degli ex brigatisti. Le leggi in Italia (nonostante B.) non sono ancora ad personam. La gestione del pentitismo e l'invenzione della dissociazione sono stati, assieme alle torture (si veda http://insorgenze.wordpress.com/2012/03/29/le-bugie-del-governo-le-torture-possibili-del-sottosegretario-allinterno-prefetto-carlo-de-stefano/), un modo per combattere il fenomeno della lotta armata. I parenti delle vittime hanno avuto molto: posti di lavoro, carriere veloci, denaro. Cose che uno Stato normalmente fa. Nessuno scandalo, ma anche troppo lamenti.
E proprio sulle BR ieri si twittava tra i compagni di un documentario della TV tedesco-francese Artè. L'autore è Mosco Levi Boccault.
So che il documentario ha riscosso un certo successo tra la compagnieria che ha potuto vederlo. Alcune cose, però, vanno chiarite.
Ho partecipato in piccola parte al lavoro. Nulla di tecnico o come autore. Sono stato contattato per fare da tramite con un ex che ha rilasciato una lunga intervista. Egli, però, compare suo malgrado. Dopo tre settimane di riprese, infatti, ha rifiutato di continuare su quel tipo di taglio. Ci sono stati un paio di incontri a Milano a tre per discutere del lavoro, ma senza risultato. Nonostante la mai firmata liberatoria per l'uso delle sue immagini in video, nel doc sono stati inseriti brani di quelle interviste. L'ex ha anche scritto una lettera di protesta ad Artè dopo la messa in onda del film un paio di mesi fa.
Inoltre, non era prevista in partenza la partecipazione di dissociati.
Perché il documentario ha riscosso un certo successo? E perché, invece, all'ex non è piaciuto?
Il successo deriva dal confronto con quello che esiste oggi in rete e in TV: lavori che si basano essenzialmente sulla dietrologia, i misteri, i ruoli dei servizi ecc., illazioni mi dimostrate ma che fanno audience.
Nell'opera di Mosco non c'è dietrologia, ed è un bene. Il documentario, però, si apre con il TG del 16 marzo 1978. Come se la storia delle BR, due decenni di lotta armata, si potesse sintetizzare in quelle immagini. Manca la dietrologia, è vero, ma l'approccio non mette in luce la lotta di classe che è stata all'origine del fenomeno brigatista, i coinvolgimenti delle fabbriche, la grande solidarietà del movimento che ha permesso anni di lotta in clandestinità. Quel fenomeno è stato possibile proprio perché è esistito un tessuto sociale e politico che ne ha permesso la nascita e lo sviluppo. Questo quadro generale manca e si riduce tutto al racconto di quattro o cinque ex che sembrano pensionati, capitati quasi per caso dietro alla macchina da presa, e alle solite immagini di repertorio tra i bossoli di via Fani e i corpi di magistrati e poliziotti uccisi.
Documentaristi, giornalisti, professori universitari. Nessuno che fa il suo mestiere. Tutti alla ricerca di qualcosa di altro e di nuovo per occupare il tempo che, evidentemente, li tiene annoiati sul posto di lavoro.
Ricordate il pezzo di un inviato di Santoro sul lavoro in Spagna, terra dell'oro per gli italiani che non trovano da noi? Era pochi mesi fa, mica un anno.
In Grecia, nel frattempo, la polizia ha controllato molti immigrati per le strade di Atene. Da mesi sono in sciopero della fame per chiedere il riconoscimento del loro status di rifugiati politici. Parallelamente, l'università, di fianco alla quale si sta svolgendo la protesta, è stata attaccata dai neonazisti.
In Italia un gruppo di professori universitari ha firmato un "manifesto per un nuovo partito". Personaggi di sinistra girotondina, baroni ma anche diversi apprezzabili studiosi hanno deciso che è giunto il momento di cambiare. Il manifesto è delirante, purtroppo. Si utilizzano luoghi ormai diventati comuni, un lessico sinistroide pidiessino e salottiero. Proposte di democrazia dal basso e ritorno a uno Stato diviso in Comuni, come ai tempi delle Repubbliche Marinare. Per ora il partito non ha un nome. Ha una collocazione, a sinistra, sulle rovine della sciagurata svolta dei primi anni Novanta. Da allora non ci si è più ripresi.
Lasciamo che il progetto muoia da sé, o diventi qualcosa di più comprensibile. Poi, casomai, ne riparliamo. Un fatto è che dopo aver contribuito a distruggere l'università italiana, gestendo concorsi e corsi di laurea come cosa loro, contro la legge ma purtroppo tra la passività dei ricercatori, proprio alcuni di loro se la sentano, sulla soglia della pensione, di scendere in politica.
A Milano sono stati messi all'asta e comprati da dell'Utri volantini delle BR. I parenti delle vittime si sono lamentati per l'assenza dello Stato, che non li ha acquistati. Ma lo Stato ne ha pieni gli archivi. Qualcuno dovrebbe informarli. Inoltre, non è vero, come è stato dichiarato, che sono state fatte leggi solo a favore degli ex brigatisti. Le leggi in Italia (nonostante B.) non sono ancora ad personam. La gestione del pentitismo e l'invenzione della dissociazione sono stati, assieme alle torture (si veda http://insorgenze.wordpress.com/2012/03/29/le-bugie-del-governo-le-torture-possibili-del-sottosegretario-allinterno-prefetto-carlo-de-stefano/), un modo per combattere il fenomeno della lotta armata. I parenti delle vittime hanno avuto molto: posti di lavoro, carriere veloci, denaro. Cose che uno Stato normalmente fa. Nessuno scandalo, ma anche troppo lamenti.
E proprio sulle BR ieri si twittava tra i compagni di un documentario della TV tedesco-francese Artè. L'autore è Mosco Levi Boccault.
So che il documentario ha riscosso un certo successo tra la compagnieria che ha potuto vederlo. Alcune cose, però, vanno chiarite.
Ho partecipato in piccola parte al lavoro. Nulla di tecnico o come autore. Sono stato contattato per fare da tramite con un ex che ha rilasciato una lunga intervista. Egli, però, compare suo malgrado. Dopo tre settimane di riprese, infatti, ha rifiutato di continuare su quel tipo di taglio. Ci sono stati un paio di incontri a Milano a tre per discutere del lavoro, ma senza risultato. Nonostante la mai firmata liberatoria per l'uso delle sue immagini in video, nel doc sono stati inseriti brani di quelle interviste. L'ex ha anche scritto una lettera di protesta ad Artè dopo la messa in onda del film un paio di mesi fa.
Inoltre, non era prevista in partenza la partecipazione di dissociati.
Perché il documentario ha riscosso un certo successo? E perché, invece, all'ex non è piaciuto?
Il successo deriva dal confronto con quello che esiste oggi in rete e in TV: lavori che si basano essenzialmente sulla dietrologia, i misteri, i ruoli dei servizi ecc., illazioni mi dimostrate ma che fanno audience.
Nell'opera di Mosco non c'è dietrologia, ed è un bene. Il documentario, però, si apre con il TG del 16 marzo 1978. Come se la storia delle BR, due decenni di lotta armata, si potesse sintetizzare in quelle immagini. Manca la dietrologia, è vero, ma l'approccio non mette in luce la lotta di classe che è stata all'origine del fenomeno brigatista, i coinvolgimenti delle fabbriche, la grande solidarietà del movimento che ha permesso anni di lotta in clandestinità. Quel fenomeno è stato possibile proprio perché è esistito un tessuto sociale e politico che ne ha permesso la nascita e lo sviluppo. Questo quadro generale manca e si riduce tutto al racconto di quattro o cinque ex che sembrano pensionati, capitati quasi per caso dietro alla macchina da presa, e alle solite immagini di repertorio tra i bossoli di via Fani e i corpi di magistrati e poliziotti uccisi.
Documentaristi, giornalisti, professori universitari. Nessuno che fa il suo mestiere. Tutti alla ricerca di qualcosa di altro e di nuovo per occupare il tempo che, evidentemente, li tiene annoiati sul posto di lavoro.
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