M*
è alto sì e no un metro e cinquanta. Una zazzera di capelli neri,
sparati sulla fronte, dritti come spaghi. La testa spesso piegata un
po' in avanti, la nuca bloccata in una posizione rigida. Due
occhietti da cinesino - anche se cinese non lo è affatto -, uno è
strabico. Non ti guarda mai negli occhi M*. Ha lo sguardo puntato
verso il basso, come se sul pavimento o su quella linea di
congiuntura tra muro e pavimento si celasse il senso del mondo. M*
non parla. Non dice una parola, non le articola nemmeno le parole.
Tutto quello che esce dalla sua gola sono versi, ringhi. A labbra
serrate. A volte all'improvviso il volto si apre in un sorriso
enorme, luminoso e poi parte in una risata senza suono. Tutto il suo
corpo ti dice che quella è una risata. Non so neppure quanti anni
abbia, non è un allievo delle mie classi, studia in seconda al liceo
delle scienze umane, che sta nello stesso edificio del mio. Quando mi
capita di incontrarlo per i corridoi, lo saluto con un brioso “Ciao
M*!” che non produce alcun effetto. Lui sembra impermeabile a me,
io inesistente per lui. È il beniamino della docente di italiano e
storia, che non è neppure la sua professoressa. Capita che M* sia
agitato e così l'insegnante di sostegno lo tiene per un po' fuori
dalla classe. Allora la professoressa di italiano e storia se lo
prende in un vorticoso giro di valzer, ballano, ballano con la musica
fatta con la voce. M* non dimostra alcuna emozione, il volto resta
impassibile, ma si lascia trasportare da quel volteggiare leggero
senza protestare. Finito il volo, ringhia con un suono rauco, neppure
una vocale, un suono e basta. Oggi sta in sala insegnanti, seduto sul
divanetto. Si torce le manine paffuttelle, con le dita piegate in
modo innaturale, guarda in basso e dondola col busto avanti e
indietro avanti e indietro. L'insegnante di sostegno lo stimola con
dolcezza a finire la sua merenda: cubetti di formaggio che la mamma
adottiva gli prepara nella giusta dimensione e che a lui piacciono da
morire. Mangiatone uno esprime tutta la sua soddisfazione con un
rauco “MMMMMMM!” e tu capisci che vuole anche dire: ancora! Io
siedo al tavolone, gli do le spalle, ma con la coda dell'occhio lo
vedo ugualmente. Cerco di concentrarmi sul voluminoso libro che ho
davanti, ma sono piuttosto stanca e il periodo non è dei migliori,
perciò mi capita più volte di sprofondare in qualche pensiero e di
ritrovarmi con la guancia appoggiata alla mano e lo sguardo perso
fuori dalla finestra. Ora M* si è fatto silenzioso, sembra più
tranquillo, ha smesso di dondolare. Torno con gli occhi sulle righe
fitte e nere. Ad un tratto sul mio braccio sinistro si appoggia il
braccio dalla felpa rossa di M*, sento appoggiato alle mie spalle
quel corpicino che mi sta abbracciando. Per un attimo resto di sasso
dallo stupore, poi anche il mio corpo si placa, si abbandona. Riesco
solo a dire, sorpresa, il suo nome e dargli una carezza sulla guancia
e lungo tutto il braccio.
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