Quel giorno di un anno fa, il 14 gennaio, la morte di Prospero Gallinari ha avuto una forza dirompente. Una forza rara in grado di cambiare prospettiva e senso di sé, capace di travolgere e stravolgere progressivamente, accumulando giorno dopo giorno, sopra il ricordo, la consapevolezza di quanta storia sia passata per Coviolo durante i funerali. Storia passata per rimanere. Storia di questo paese,. Che sia accettata o meno da chi lo dirige, da chi prenota le fiction surreali che, al contrario, tramonteranno prestissimo in un oblio neanche stentato.
Ci siamo mischiati, quel giorno a Coviolo, ognuno per come poteva e per chi poteva. Quel giorno abbiamo testimoniato che il terrorismo è una invenzione. Eravamo lì con nome e cognome, il volto scoperto, i figli accanto, la Digos all'ingresso. I nostalgici? I nostalgici. I reduci di una guerra persa? Forse. Ma quanto carcere c'era, quel giorno a Coviolo. E quanto carcere è rimasto a casa, quel giorno. Perché per questo Stato quella guerra, dopo 35 anni, non è ancora finita. Non voglio parlare, oggi, di libri e dietrologie. Durante l'ultimo anno (e non solo) gli abbiamo dato ripetuti colpi.
Voglio ricordare una stretta di mano, tra un settantenne e una non ancora diciassettenne. Sotto i miei occhi. E di un regista che ci ha ripreso tutti e tutte, e messo in un film.
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