giovedì 21 febbraio 2013

PAOLA STACCIOLI RICORDA WILMA MONACO




Un ferale alfabeto si snoda la mattina del 21 febbraio 1986 a Roma, sull’asfalto di via della Farnesina. Come in un’agghiacciante partita di Scarabeo i cartellini della Polizia scientifica mettono in fila, uno dopo l’altro, i tasselli dell’orrore. La lettera A è il corpo di una giovane. Con il volto verso il suolo. I quotidiani indugiano sui particolari dell’abbigliamento. Quasi che il mosaico di colori possa rendere meno glaciale la scena. Giaccone e sciarpa viola, borsa di cuoio a tracolla, zuccotto di lana scuro con borchie di metallo, guanti bianchi e neri da sci, stivaletti con la suola di gomma. B, C, D... bossoli, macchie, schegge... H, una pistola calibro 38. L’arma con cui ha sparato Wilma Monaco, militante dell’Unione dei comunisti combattenti (Udcc), formazione armata nata da una scissione delle Brigate rosse. L'organizzazione è alle prese con una situazione di grave crisi. Quasi tutti i membri sono in carcere, dilagano i cosiddetti pentiti, i dissociati. Le azioni sono ormai sporadiche. Il clima è pesante. Sono gli anni del craxismo trionfante. La sconfitta, profonda, ha travolto la sinistra, nelle sue rappresentanze storiche. I movimenti operai, studenteschi, femministi, sono rifluiti, i gruppi extraparlamentari dissolti nel nulla. Ma alcuni militanti vogliono proseguire la lotta. Cercano una via d’uscita, una strada di cambiamento e rivoluzione sociale.

Wilma è con loro. Dai tempi della scuola non ha mai abbandonato l’impegno politico. Infanzia a Testaccio, diploma al liceo linguistico, lavoro come impiegata. Nel 1977-78 milita in uno dei vari gruppi riuniti a Roma sotto la sigla di Movimento proletario di resistenza offensivo (Mpro), in contatto con le Brigate rosse. Effettuano azioni, anche illegali, prevalentemente sui temi della casa e del lavoro. Allo scioglimento del Mpro, insieme ad altri militanti Wilma costruisce i Nuclei clandestini di resistenza. Dal 1982, quando le Brigate rosse vacillano sotto il terremoto di arresti provocati in primo luogo dal pentitismo, il dibattito sul futuro della lotta armata investe anche l’area semilegale e la rete di appoggio diffusa che ruota intorno all’organizzazione. Wilma partecipa. Disorientata come molti suoi compagni. In bilico fra le lotte di massa e l’ipotesi armata, è in prima fila nelle battaglie del movimento pacifista contro l’installazione dei missili a Comiso, nelle iniziative dei disoccupati delle Liste di Lotta.
Riparata a Parigi in seguito a una denuncia, insieme agli scissionisti delle Brigate rosse fonda l’Udcc. È la fine del 1985. Lo stesso anno è stato arrestato l’ex marito, da cui si è separata affettivamente e politicamente. Lui è un brigatista "ortodosso". La nuova struttura, l'Udcc, intende invece mantenere acceso lo scontro, anche militare, ma considera la lotta armata uno strumento di lotta, sia pure decisivo, non una strategia.

Quella del 21 febbraio 1986 è la prima azione del gruppo. Obiettivo del commando - due uomini e due donne - Antonio Da Empoli, neodirettore del Dipartimento degli Affari economici e sociali della presidenza del Consiglio, collaboratore diretto di Bettino Craxi. Un incarico importante ma nell’ombra. Deve essere gambizzato, si dice in gergo. I quattro si appostano vicino all’edicola dove l’uomo si ferma ogni giorno andando a Palazzo Chigi. Sono le nove. La zona è tranquilla ed elegante. Da Empoli esce di casa, compra i giornali, torna verso la macchina, qualcuno grida il suo nome. Lui si volta, l’uomo spara. Viene ferito in modo non grave a una mano e a una coscia. La reazione è immediata. L’autista è un poliziotto, che si catapulta in strada facendo fuoco. Il commando è disorientato. Wilma tenta di coprire la fuga dei compagni. Avanza, spara tre colpi. Poi cerca di raggiungere la Vespa. Non ce la fa. Barcolla, crolla a terra, ferita a morte nonostante il giubbotto antiproiettile che indossa sotto la giacca. Gli altri riescono a far perdere le loro tracce.

Termina la vita così, a ventotto anni, Wilma Monaco. Roberta il suo nome di battaglia. Un’esistenza simile a quella di tanti coetanei cresciuti sull’onda lunga del Sessantotto, nel clima delle grandi passioni politiche, del fermento sociale che ha attraversato il paese, della strategia della tensione attuata per frenare il cambiamento. Del tentativo di definire un'ipotesi rivoluzionaria per i paesi a capitalismo avanzato.


Nel marzo del 1987 l’Udcc uccide il generale dell’Aeronautica Licio Giorgieri, prima di essere smantellata dagli arresti.

Testo tratto dal  libro 101 donne che hanno fatto grande Roma, di Paola Staccioli (Newton Compton 2011)

2 commenti:

Anonimo ha detto...

E' bello ed è giusto ricordarla ai giovani impegnati nelle lotte di oggi sottolineando che Wilma, come tanti altri nostri compagni, è caduta sulla lunga strada "....del tentativo di definire un'ipotesi rivoluzionaria per i paesi a capitalismo avanzato."......e la domanda "qual è la via?" interroga ancora oggi l'intelligenza e la passione di ognuno di noi, giovani e meno giovani.
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Era davvero bella Wilma, e avevo gli occhi belli e vivaci. Vederla arrivare a casa un sabato mattina del 1985 con dei grandi occhiali scuri che coprivano anche parte del viso, mi sembrò davvero innaturale.
Mi spiegò che passando sulla Tiburtina aveva notato decine di manifesti che annunciavano una manifestazione di disoccupati e precari, e che nella foto del maifesto lei compariva in primissimo piano, essendo stata scattata qualche giorno prima durante una protesta dei precari da lei organizzata sul suo posto di lavoro.

Già, la Tiburtina. O meglio, quel suo lungo tratto di quasi dieci kilometri che inizia dal ponte di Portonaccio, sopra la stazione ferroviaria, e collega i quartieri popolari Casal Bruciato, Pietralata, Tiburtino III, Rebibbia, San Basilio ....e poi ancora, la lunga scia di fabbriche piccole e medie che si concentrano dall'incrocio di San Basilio a Settecamini, due kilometri fuori dal grande raccordo anulare.

I testimoni politici dell'epoca (e anche qualche pentito o dissociato) racconta che nei primi anni '70 quel tratto dellaTiburtina fu uno dei primi "serbatoi" delle Brigate Rosse che anche a Roma iniziarono ad organizzare nelle proprie fila non già dei veri e propri quadri politici, bensì la prima disponibilità a sostenere "l'idea forza" della necessità della lotta armata.

Da allora e per trenta anni, quella lunga fascia della Tiburtina - nella quale si sono intrecciate per tanto tempo la tradizione e i valori della Resistenza, le lotte e le organizzazioni sindacali operaie, le lotte per la casa e per i servizi, la violenza organizzata contro le sedi e gli uomini del msi e della dc- quella zona, proprio quella, ha partorito decine e decine di militanti e simpatizzanti brigatisti, se è vero come è vero che anche Mario Galesi, il militante delle BR- pcc ucciso nel 2003 durante un conflitto a fuoco a Castiglion Fiorentino, si era formato politicamente in quella ricca scuola della lotta di classe che è sempre stata la Tiburtina. Esattamente come Luigi Fallico, il compagno morto in carcere nel 2011 durante la custodia cautelare per un'accusa di banda armata dalla quale i suoi coimputati sono poi, dopo la sua morte, risultati innocenti.

E mi piace oggi ripensare alla Wilma militante della lotta armata che nel 1985 organizzava anche le lotte sul suo posto di lavoro e si ritrovava la sua immagine su centinaia di manifesti attaccati sulla Tiburtina...... così come mi piacerebbe che un giorno le tante decine di militanti ma soprattutto di proletari di quei quartieri e di quelle fabbriche - compagni e proletari ormai avanti con l'età - potessero venire avanti con il volto scoperto per raccontare ai giovani compagni che l'utopia c'entrava ben poco con il loro impegno. Che per ognuno di loro contribuire nel limite delle sue capacità e possibilità alla lotta delle Brigate Rosse era in un certo senso la naturale prosecuzione della loro partecipazione alle lotte di massa di quella lunga striscia della Tiburtina, così straordinariamente ricca di storia e di valori ancor oggi in qualche modo presenti.

Anonimo ha detto...

ANTONINI VITTORIO

E' bello ed è giusto ricordarla ai giovani impegnati nelle lotte di oggi sottolineando che Wilma, come tanti altri nostri compagni, è caduta sulla lunga strada "....del tentativo di definire un'ipotesi rivoluzionaria per i paesi a capitalismo avanzato."......e la domanda "qual è la via?" interroga ancora oggi l'intelligenza e la passione di ognuno di noi, giovani e meno giovani.
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Era davvero bella Wilma, e avevo gli occhi belli e vivaci. Vederla arrivare a casa un sabato mattina del 1985 con dei grandi occhiali scuri che coprivano anche parte del viso, mi sembrò davvero innaturale.
Mi spiegò che passando sulla Tiburtina aveva notato decine di manifesti che annunciavano una manifestazione di disoccupati e precari, e che nella foto del maifesto lei compariva in primissimo piano, essendo stata scattata qualche giorno prima durante una protesta dei precari da lei organizzata sul suo posto di lavoro.

Già, la Tiburtina. O meglio, quel suo lungo tratto di quasi dieci kilometri che inizia dal ponte di Portonaccio, sopra la stazione ferroviaria, e collega i quartieri popolari Casal Bruciato, Pietralata, Tiburtino III, Rebibbia, San Basilio ....e poi ancora, la lunga scia di fabbriche piccole e medie che si concentrano dall'incrocio di San Basilio a Settecamini, due kilometri fuori dal grande raccordo anulare.

I testimoni politici dell'epoca (e anche qualche pentito o dissociato) racconta che nei primi anni '70 quel tratto dellaTiburtina fu uno dei primi "serbatoi" delle Brigate Rosse che anche a Roma iniziarono ad organizzare nelle proprie fila non già dei veri e propri quadri politici, bensì la prima disponibilità a sostenere "l'idea forza" della necessità della lotta armata.

Da allora e per trenta anni, quella lunga fascia della Tiburtina - nella quale si sono intrecciate per tanto tempo la tradizione e i valori della Resistenza, le lotte e le organizzazioni sindacali operaie, le lotte per la casa e per i servizi, la violenza organizzata contro le sedi e gli uomini del msi e della dc- quella zona, proprio quella, ha partorito decine e decine di militanti e simpatizzanti brigatisti, se è vero come è vero che anche Mario Galesi, il militante delle BR- pcc ucciso nel 2003 durante un conflitto a fuoco a Castiglion Fiorentino, si era formato politicamente in quella ricca scuola della lotta di classe che è sempre stata la Tiburtina. Esattamente come Luigi Fallico, il compagno morto in carcere nel 2011 durante la custodia cautelare per un'accusa di banda armata dalla quale i suoi coimputati sono poi, dopo la sua morte, risultati innocenti.

E mi piace oggi ripensare alla Wilma militante della lotta armata che nel 1985 organizzava anche le lotte sul suo posto di lavoro e si ritrovava la sua immagine su centinaia di manifesti attaccati sulla Tiburtina...... così come mi piacerebbe che un giorno le tante decine di militanti ma soprattutto di proletari di quei quartieri e di quelle fabbriche - compagni e proletari ormai avanti con l'età - potessero venire avanti con il volto scoperto per raccontare ai giovani compagni che l'utopia c'entrava ben poco con il loro impegno. Che per ognuno di loro contribuire nel limite delle sue capacità e possibilità alla lotta delle Brigate Rosse era in un certo senso la naturale prosecuzione della loro partecipazione alle lotte di massa di quella lunga striscia della Tiburtina, così straordinariamente ricca di storia e di valori ancor oggi in qualche modo presenti.
VITTORIO ANTONINI