Testo di Marconista. Febbraio 2011
Il giorno dopo alle 8 del mattino Luca era in piedi.
La manifestazione sarebbe cominciata alle 10, partendo da piazza Omonia.
L’obiettivo era sfondare i cordoni della polizia e raggiungere il parlamento; e
anche il picchetto dei comunisti del KKE, se fosse stato necessario.
In piazza Exarchia stavano preparando gli ultimi
striscioni, molti dei quali, spiegò Marianthi, erano contro la globalizzazione
e la Nato. Un anarchico mangiava nervosamente un panino accanto a un compagno
che suonava uno strumento a forma di dirigibile con dei buchi laterali. Si
lasciò cadere le lenti sul naso e tirò su un fazzoletto nero che ricoprì il
volto. Molti indossavano maschere antigas e caschi da motociclista. Luca, una
felpa con il cappuccio e aveva la netta sensazione di essersi imbarcato senza
biscotto. Marianthi gli aveva anche dato un fazzoletto nero e una bottiglia
d’acqua, unica difesa contro i lacrimogeni.
Il corteo partì alle dieci. Una ragazza con i
capelli rossi gridò subito qualcosa in faccia ai celerini che attendevano al
primo incrocio, ne spinse uno prendendolo per lo scudo di plexiglas e ricevette
una manganellata. Luca fece per buttarsi nella mischia, ma Marianthi lo fermò.
Si sentirono spingere e videro volare manganelli. Luca si frappose tra la
ragazza e un celerino e con l’aiuto di altre mani riuscì portarlo dentro al
corteo, che lo atterrò riempiendolo di calci. Giunsero i rinforzi e la prima
fila dei manifestanti serrò il passo tenendosi unita con dei bastoni corti e tozzi.
I comunisti del KKE aspettavano di fronte al
Parlamento per porsi alla testa del corteo. La polizia continuava ad aumentare
e con cautela gli anarchici cominciarono a indietreggiare. Marianthi si teneva
a Luca. Il corteo ripartì, di corsa, cercando di sfondare il blocco. Da dietro
cominciò un fitto lancio di uova e pomodori e una parte si defilò sotto gli
archi, sulla destra, superando la prima linea della polizia inseguita da
giornalisti e telecamere, invasati come mosche in un carnaio. Luca contò i
caschi dei celerini che poteva vedere: erano circa trecento. “Sai celerino che
posso leggere sul tuo volto quanto ti resta da vivere?” urlò in faccia a uno di
loro. “Pare dipenda dagli emisferi. Quando diventano uguali stai all’erta
perché vuol dire che ci siamo”. Quello non capì una parola e lo guardò
sorpreso. Luca gli mollò un pugno, rompendogli il setto nasale. Uno studente
perse la lente da un occhiale legato con uno spago dietro alla nuca ma continuò
a picchiare come nulla fosse. Marianthi tirò Luca per la felpa. I lacrimogeni
erano troppi e non si vedeva più niente. La gola cominciò a infiammarsi. Il
corteo si divise ulteriormente e una parte consistente prese di corsa una via
laterale, libera dalla polizia. C’era un rumore assordante di chiavi e
fischietti. Marianthi correva e spingeva, o si appoggiava a Luca, che le era
davanti. Passarono dietro Omonia per il mercato generale di Atene e risalirono
una delle vie commerciali più importanti. Arrivati in piazza Sintagma, dove
attendevano i comunisti, qualcuno sparò dei fumogeni da stadio in direzione del
picchetto, in modo da aprire un varco.
Un giovane cosparse di benzina un cartellone
pubblicitario, dandogli fuoco; le fiamme si trasformarono presto in un fumo
nero e la confusione aumentò. Andarono in frantumi le vetrate della Posta.
Altri anarchici cominciarono a rompere il marmo del marciapiede vicino al
Parlamento con delle mazze di ferro per farne pietre, che tiravano verso la
polizia. Il traffico era bloccato, ma invece di correre verso il palazzo
presidenziale, sul viale parallelo al Parlamento, che era presidiato, la parte
di corteo con Marianthi e Luca si diresse nella direzione opposta, proprio dove
gli automobilisti erano rimasti imbottigliati. In molti saltarono sopra le auto
e la carica della polizia perse ogni efficacia. Qualcuno sparò un altro razzo,
stavolta ad altezza d’uomo. Il corteo entrò di corsa dentro i giardini
nazionali. C’era fumo ovunque; qualche poliziotto riuscì a raggiungere le
retrovie, colpendo alle spalle gli ultimi, ma l’idrante che era stato preparato
meticolosamente per fermarli non poté essere usato, perché avrebbe inondato
principalmente le auto. Luca sentì in bocca del sangue caldo e gli occhi che si
riempivano di lacrime. I celerini colpivano e tornavano indietro, cercando di
chiudere in una morsa gli anarchici. Ci fu qualche minuto di tregua. Il fumo si
diradò e tutti si diressero lungo una rotabile seguendo i binari del tram. La
prima fila si unì dietro un bastone lungo alcuni metri che ognuno strinse a sé,
e avanzò velocemente verso la televisione di Stato. A mezzo chilometro di
distanza i celerini avevano formato due file compatte, con una terza a pochi
metri dal cancello principale.
Il ticchettio della folla si lasciava respirare. Truppe
motorizzate e un autoblindo con un altro idrante sul tetto attendevano gli
eventi. Il corteo giunse a pochi metri dalle due file di poliziotti. Il fragore
era enorme. Luca e Marianthi non si erano persi e restavano vicini. I minuti
lievitarono, lentamente. Si sentivano agitare le chiavi, un suono lontano di
tamburi. Finalmente un anarchico prese un megafono e cominciò a parlare. Il
corteo si allargò per far passare i tamburi, che si misero tra la prima fila e
la celere. Luca si calmò e mentre cresceva il rumore, davanti ai suoi occhi
passarono altri strumenti, un sassofono, una tromba e qualche grande barile di
vernice rovesciato. Erano arrivati anche i comunisti, che però rimasero in
coda.
La musica diventò assordante e molti cominciarono a
ballare. Marianthi si strinse a Luca poggiando le mani sul suo petto. Si tolse
le scarpe e mise a danzare anche lei, scalza, come Isadora Duncan, di fronte ai
celerini pronti a colpirla in qualunque momento. Luca li fissava. I loro volti
muliebri protetti dalle visiere avevano la stessa espressione paralizzata.
Amore, verginità e morte erano sul punto di confondersi dentro la gabbia della
più grande protesta popolare nella storia della
Grecia democratica e Luca vide l’orizzonte dei circoli incidenti e una luce
pallida che veniva dalla periferia di Atene.
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